Per il terzo anno consecutivo le imprese dei distretti «superano» le realtà non organizzate in filiera, con performance migliori sia nei fatturati (4,2 punti punti percentuali di crescita in più) sia nella dinamica dei profitti. Una performance, però, che non è sufficiente a riportare i fondamentali sul terreno positivo. I bilanci 2012 evidenziano un calo del fatturato del 3,7%(-1,3% nel 2013) e una continua erosione dei margini.
Il ritorno definitivo alla crescita, anche per queste imprese, è atteso solo per il 2015 (dopo un +2,2% nell’anno in corso), con un incremento del 4,7 per cento. Sulla tenuta dei distretti, inoltre, incombe il rischio di disarticolazione degli anelli della filiera, minacciata dalla componentistica estera e dal rischio di perdere le competenze in termini di subfornitura.
Il quadro è stato tracciato ieri, durante la presentazione del sesto rapporto annuale sui distretti, curato da Intesa Sanpaolo. L’analisi conferma l’eccellenza di alcune aree distrettuali italiane che, anche negli anni della crisi, sono riuscite a ottenere performance di crescita significative. Tra gli 11 migliori distretti selezionati da Intesa Sanpaolo, primeggia l’agroalimentare, con 6 aree (vini del veronese, prosecco di Valdobbiadene, dolci di Alba e Cuneo, caffè e pasta napoletane, vini del Chianti, salumi di Parma). Tre aree sono riconducibili alla filiera della moda (calzature napoletane, pelletteria di Arezzo, calzature di San Mauro Pascoli) e solo due (marmo di Carrara e macchine per l’imballaggio di Bologna) al manifatturiero. Nei prossimi mesi, però, dovrebbero recuperare anche i distretti più «pesanti»: si attende una ripresa delle meccanica, dei prodotti in metallo, e anche della filiera del mobile.
«Alla base delle migliori performance rispetto alle aree non distrettuali – ha spiegato ieri il chief economist di Intesa, Gregorio De Felice – c’è la maggiore capacità dei distretti di esportare, di effettuare investimenti diretti esteri e di registrare brevetti. I distretti si confermano come luogo privilegiato per la diffusione e l’adozione di comportamenti complessi e catalizzatori di innovazione tecnologica, organizzativa e di mercato».
Rimangono però, come detto, molte criticità. Innanzitutto l’erosione della redditività: i margini operativi netti in rapporto al fatturato si attestano al 3,9%, con una perdita di 1,4 miliardi negli ultimi quattro anni. In questo contesto, i curatori dell’analisi manifestano preoccupazione per l’elevata fragilità di molte imprese, in particolare per quelle di minori dimensioni, che faticano a mantenere in equilibrio la gestione finanziaria. «Il rischio principale – ha spiegato Fabrizio Guelpa, responsabile delle ricerche di Intesa San Paolo – rimane la disarticolazione della filiera: le Pmi subfornitrici continuano a essere minacciate dalle intenzioni di internazionalizzazione delle imprese capofila».
Le analisi del rapporto evidenziano rischi soprattutto per le produzioni a più basso valore aggiunto. Il 62% delle imprese pensa di non ridurre nei prossimi anni il ricorso alla subfornitura locale, per evitare di incorre in problemi di qualità, affidabilità e time to market. Ma preoccupano i problemi finanziari delle imprese più piccole, che potrebbero compromettere la loro capacità di realizzare gli investimenti necessari per seguire le strategie innovative dei committenti.
«Siamo pronti a un’offerta di credito che nei prossimi quattro anni può superare i 150 miliardi di euro erogazioni – ha assicurato ieri l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina –. È ovvio poi che la domanda di credito non dipende da noi, ma la nostra disponibilità a sostenere le imprese c’è tutta».
Il Sole 24 Ore 27.02.14