L’Italia – con la forza del suo manifatturiero, il problema del debito, l’instabilità politica e lo strapotere dei mandarini della pubblica amministrazione – va inserita nel quadro comunitario. E, a sua volta, l’Unione Europea va collocata nel contesto internazionale. Romano Prodi, chiamato a discutere a Nomisma del documentario “Girlfriend in a coma” di Annalisa Piras e dell’ex direttore dell’Economist Bill Emmott, preferisce mostrare la complessità del mosaico in cui la piccola tessera italiana trova – non senza fatiche – il suo posto. L’occasione è, appunto, una discussione con Emmott sul tema “Come risvegliare l’Italia dal coma?”, che con i contributi di Giulio Santagata e di Richard Harris si è trasformata in un dibattito né autoconsolatorio (da parte italiana), né segnato da pregiudizi (da parte anglosassone).
Emmott descrive un’Italia contraddittoria, complicata e vitale, comunque amata, appunto come una fidanzata. Ma è tutta la mattinata ad assumere il tono del realismo non cinico, del pragmatismo mai disfattista che caratterizza il buon vivere e l’attitudine analitica, la cultura popolare e l’arte di governo dell’ambiente bolognese. Non a caso Santagata all’inizio scherza, ma non troppo: «Qui a Bologna abbiamo la Casa dei Risvegli dove, fra scienza e volontariato, una parte importante della cura dei pazienti consiste nel parlare con loro».
Il paziente Italia va studiato nei suoi malanni. Ma va curato attraverso la sua appartenenza al più ampio organismo europeo. Instabilità politica e debito sono le prime patologie. «Quando vidi Kohl per la prima volta – ricorda Prodi – alla fine dell’incontro lui mi disse: è stato bello, ma chi verrà la prossima volta?». Il debito, che con i governi Prodi si ridusse del 10%, è la misura con cui gli altri ci giudicano. «Nella percezione dei mercati – nota Prodi – serve una tendenza di riduzione. In particolare nel mio primo governo, dopo sei mesi, senza che ancora avessimo fatto nulla sul fronte fiscale, Vincenzo Visco (ndr: ministro del Tesoro) venne da me stupito per l’incremento delle entrate. Io gli risposi: «Abbiamo presentato un progetto, stiamo lavorando, gli italiani pagano le tasse». Per dire che la fisionomia e la coerenza dell’esecutivo sono fondamentali nel rapporto con i cittadini e con gli investitori. «Se il governo ha la continuità e fa la formica – aggiunge – , dando credibilità ai provvedimenti, i mercati internazionali lo apprezzano subito».
A Nomisma Prodi ha scelto di non soffermarsi sul presente. Alla domanda di un giornalista «un giovane premier può aiutare il Paese a risvegliarsi dal coma?», ha garbatamente declinato: «Penso di non rispondere».
Poche ore prima ad Agorà su Rai Tre – oltre ad affermare «io al Colle? No, come si dice, the game is over, la gara è finita: sono tutti giovani, tutti nuovi, quindi uno deve capire quando è il proprio tempo e quando il proprio tempo è passato» – aveva detto: «Spero, per il futuro del Paese, che le cose vadano bene. Se le cose vanno bene, il governo Renzi durerà fino al 2018, ma il problema è che le cose vadano bene perché non è che siamo messi bene, gli impegni sono tanti in Italia e in Europa».
A Nomisma, dunque, Prodi preferisce delineare una sorta di profilo dell’uomo di governo: «I politici migliori sono persone dotate di coerenza, lungimiranza e capacità di fare squadra. I migliori leader che ho conosciuto hanno una meravigliosa capacità di semplificare. Penso a Kohl, mirabile nella sua capacità di dire sì o no di fronte a questioni complicate». In Italia, a depotenziare l’azione di governo ci sono anche l’alta burocrazia, compatta e coesa, e la lentezza esasperante dei processi legislativi. «Mancano ancora alcuni decreti attuativi delle liberalizzazioni di Bersani. Che risalgono al 1997», sottolinea Prodi. Così è. Spesso stupisce la resistenza del nostro sistema industriale. «Nessuna retorica – osserva Prodi, da industrialista – oggi molte imprese sono in estrema difficoltà. Ma le 2.500 multinazionali tascabili costituiscono una grande ricchezza».
Serve, però, un catalizzatore della ripresa. Non solo a beneficio delle imprese orientate all’export, ma anche di quelle più dipendenti dal mercato interno. «Keynes servirà a qualcosa, o no? Tutta l’Europa è depressa, anche la Germania. Occorre un impulso alla domanda, con un minimo di solidarietà europea», conclude Prodi richiamando la necessità di una (nuova) medicina comunitaria.
Il Sole 24 ore 25.02.14