I dati del ministero confermano la tendenza. In un decennio il numero di coloro che decidono di proseguire gli studi dopo il diploma è diminuito di oltre 78mila unità. Pesa la crisi economica, ma anche la sfiducia nell’utilità della laurea. Trentamila immatricolati in meno in appena un triennio e oltre 78mila in meno in dieci anni. Ecco il bollettino di guerra reso noto dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca. I giovani italiani, e forse anche le loro famiglie, non sembrano più credere nell’università. E il numero di coloro che dopo il diploma decidono di continuare gli studi nel nostro Paese si sta assottigliando pericolosamente. A confermare la fuga gli ultimi dati sulle new entry nel sistema universitario italiano relativi all’anno accademico 2013/2014, appena pubblicati.
Anche se mancano ancora all’appello una manciata di atenei – alcuni dei quali telematici – il mezzo disastro certificato dai numeri è una realtà. Quest’anno, i giovani che sono entrati per la prima volta all’università sono appena 260.245, il 3,4 per cento in meno rispetto a dodici mesi fa, quando gli immatricolati sfiorarono i 270mila. Un calo che difficilmente potrà essere colmato dai nuovi ingressi degli atenei che non hanno ancora comunicato i propri iscritti – che tutti assieme fanno registrare circa 2mila e 600 iscritti all’anno.
Soltanto tre anni fa – nel 2010/2011 – gli immatricolati furono quasi 290mila. Nello stesso periodo i diplomati, stando ai dati forniti da viale Trastevere – sono aumentati. Che cosa hanno fatto i 30mila immatricolati in meno? Per spiegare i motivi di un trend che sembra difficile da invertire occorrerebbe indagare a fondo. Anche perché dall’Europa ci pressano per incrementare il numero dei laureati, considerati strategici per tentare di agganciare una ripresa economica che si gioca tutta sull’innovazione.
Dieci anni fa – nel 2003/2004 – gli immatricolati superarono abbondantemente le 300mila unità, attestandosi a quota 338mila e 500. Nonostante la riforma del 3 più 2, in un decennio se ne sono volatilizzati 78mila: il 23 per cento del totale. Nello stesso periodo, le tasse universitarie si sono incrementate maledettamente, il numero chiuso è stato esteso – oltre che ai corsi a numero programmato a livello nazionale (Medicina, Odontoiatria, veterinaria, Architettura e alle Professioni sanitarie) – anche a oltre metà di tutti gli altri corsi di laurea. E anche le borse di studio per gli studenti meno abbienti si sono ridotte.
Nel frattempo, la crisi economica e la disoccupazione galoppante hanno messo in ginocchio migliaia di famiglie italiane che, forse, non possono più permettersi il lusso di un figlio all’università. A denunciare il numero crescente di abbandoni per ragioni economiche all’università di Bologna, qualche giorno fa è stata Dolores Neri, garante degli studenti dell’ateneo bolognese. Anche il rettore Ivano Dionigi si è detto preoccupato. “Ricevo tante lettere – ha dichiarato – di chi non ce la fa, mail di studenti o di famiglie che mi rappresentano drammatici casi sociali”.
E la Bicocca di Milano, per scongiurare l’emorragia di iscritti e la dispersione, coccola i genitori. Dopodomani, l’ateneo milanese accoglierà i genitori. “È inutile negarlo. I genitori – spiegano dalla Bicocca – alla scelta dell’università partecipano eccome. Spesso in conflitto con i figli o sostituendosi a essi, con effetti che possono essere anche negativi”. Ecco perché l’ateneo “ha ideato e lanciato un appuntamento dedicato proprio ai genitori per aiutarli a capire qual sia il modo più adeguato per sostenere i figli quando la questione è “iscriversi all’università”.
da repubblica.it