Nei giorni accelerati che vedono Matteo Renzi alle prese con la sua lista dei ministri, la parola scienza si è sentita poco. In questo non c’è differenza rispetto al passato. Anche il Parlamento che dovrà decidere se dargli la fiducia è culturalmente lontano dalla scienza. Qualche settimana fa Lamberto Maffei, presidente dell’Accademia dei Lincei, in un articolo per «il Sole-24 ore» ha esaminato le competenze presenti nella Camera dei Deputati, ammesso che i titoli di studio valgano qualcosa. Su 630 parlamentari i laureati sono il 68% e di questi il 78% ha una formazione umanistica con predominanza della laurea in Giurisprudenza. Tra i 96 deputati di formazione scientifica prevale la laurea in Ingegneria (34), seguita da Medicina (20) e poi, con numeri via via più piccoli, da Architettura, Chimica, Fisica, Informatica, Scienze agrarie, Farmacia, Veterinaria, Biotecnologie. In Senato tra i medici spicca Scilipoti, che si batte per l’agopuntura.
Registriamo questa situazione in un’epoca caratterizzata da due aspetti importanti: da un lato, intrecci sempre più stretti tra scienza e politica (pensiamo a ricerca e rilancio economico, ogm, energia, ambiente, testamento biologico), e dall’altro lato cittadini che, grazie a Internet e social network, tendono sempre di più a formarsi opinioni autonome dalla comunità scientifica e a imporre alla politica le scelte che ne derivano (no agli ogm, no alla sperimentazione animale, sì a Stamina ,sì alle medicine alternative).
E’ bene avere in mente queste cose sfogliando l’Annuario Scienza, Tecnologia e Società 2014 a cura di Massimiano Bucchi e Barbara Saracino appena pubblicato (il Mulino). Tra i tanti dati che riporta troviamo quelli sulle conoscenze scientifiche degli italiani e sulla loro scala di priorità in tema di ricerca. Secondo l’Annuario, la preparazione scientifica media migliora: nel 2007 solo 50 italiani su 100 sapevano che il Sole non è un pianeta, nel 2013 sono diventati 60 (!). Quanto alle priorità, 54 cittadini su 100 mettono al primo posto le energie rinnovabili, soltanto 2,8 nuovi prodotti chimici.
Sembra che la gerarchia delle priorità sia determinata, più che da conoscenze scientifiche, da talk show televisivi e social network, altrimenti sapremmo che la nostra vita dipende in gran parte dalla chimica: farmaci, materiali, prodotti per l’agricoltura, e l’energia stessa, rinnovabile e non. Si delinea quindi un cortocircuito: cittadini scientificamente autodidatti che eleggono una classe politica poco rappresentativa della cultura scientifica. Classe politica, peraltro, nella quale solo 3,5 cittadini su 100 vedono un interlocutore credibile.
Bisogna aggiungere che nella scienza è in atto una crisi di crescita che si traduce in crisi di autorevolezza. Nel 2012 gli articoli scientifici sono stati 1,8 milioni. Sarà tutto oro colato? No. Nel Regno Unito ha sollevato il problema «The Economist». Il succo è che dovremmo diffidare. Un articolo privo di ogni base firmato da un falso professore di una università inesistente, sottoposto a 304 riviste con peer review, è stato accettato da 157 riviste. Talvolta anche «Nature» e «Science» privilegiano le ricerche che fanno notizia – cioè che verranno rilanciate dai giornali – a prescindere dal loro effettivo valore. I principi stessi del metodo scientifico sembrano disattesi da ricercatori costretti a pubblicare risultati interessanti a tutti i costi, pena la perdita dei finanziamenti. Il cerchio si chiude ricordando che di solito è più facile ottenere fondi per le ricerche capaci di conquistare la vetrina della tv e dei giornali.
Se non altro per motivi di quantità e per il proliferare delle pubblicazioni online, valutare i risultati scientifici diventa sempre più difficile. Se poi le priorità della ricerca vengono decise da politici incompetenti sotto la pressione di cittadini autodidatti, c’è di che preoccuparsi della mutazione in atto. E’ probabile che il comune cittadino pensi alla scienza confondendola con tecnologie immediatamente utili (energie rinnovabili, appunto, o smartphone). Ma la scienza vera ha come fine primario la conoscenza pura, ed è di qui che vengono poi anche le applicazioni utili. Secondo l’Annuario, solo 1,5 italiani su 100 attribuiscono priorità alla ricerca spaziale, e la fisica non è neppure stata indagata. Attenzione: la scienza ha sempre fatto i suoi progressi più importanti guidata non dalle applicazioni, ma dalla curiosità.
La Stampa 19.02.14