Ci sono i commercianti veneziani che sono arrivati indossando cappellini con orecchie d’asino, perché «Siamo stanchi di fare i muli». Ci sono i loro colleghi padovani, che sfilano compatti al grido di «Basta tasse» in un corteo aperto dallo striscione «Indignados», con in mano cartelli del tipo «Banche, ci avete rotto il tasso» e «Siamo alla derIva». E ancora, gli artigiani con al collo un grido d’aiuto scritto a pennarello («Sono qui per non chiudere») e i piccoli imprenditori modenesi, che sottolineano: «Il terremoto non ha fermato l’Emilia, la burocrazia sì».
UNA PIAZZA INEDITA
Sono solo alcuni tra le decine di migliaia di volti che ieri hanno invaso pacificamente piazza del Popolo a Ro- ma, per la prima grande manifestazione dei Rete Imprese Italia, l’associazione che riunisce Casa Artigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti. «Siamo più di sessantamila», esultano gli organizzatori. Un conteggio sicuramente non distante dalla realtà: la piazza e le vie adiacenti sono totalmente coperte da bandiere bianche, blu e verdi, appartenenti alle varie sigle.
Fischietti, trombette da stadio e tamburi improvvisati su bidoni di latta contribuiscono ad aumentare il rumore della protesta. Tantissime le presenze dal Nord-est, meno nutrite le delegazioni del Sud. Tra idraulici e carrozzieri, muratori, ristoratori, pavimentatori, spiccano i gestori balneari aderenti al sindacato italiano Sib: dicono di essere calati a Roma in 5.000.
«Avete fatto un vero miracolo – esordisce dal palco il presidente di Casa Artigiani, Giacomo Basso – da oggi piazza del Popolo diventa la piazza del popolo degli imprenditori italiani. Se la ricorderanno tutti». Era più vent’anni che non c’era una tale mobilitazione, dall’epoca della minimum tax (ottobre 1993), ricordano gli organizzatori. «Vale più un vostro urlo di tanti nostri discorsi – incalza Basso – vogliamo dignità». E la platea scandisce un «Dignità, dignità».
TASSE E BUROCRAZIA ASFISSIANTI
Rabbia – più che rassegnazione – è il sentimento principale che si respira. Nel 2013 hanno abbassato le serrande 372mila imprese, oltre un migliaio al giorno. E la fine del tunnel sembra ancora lontana. «È a rischio la pace sociale. È pericoloso lasciare le famiglie e le imprese sull’orlo della disperazione», l’avvertimento del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. Nel suo discorso il leader di Confartigianato, Giorgio Merletti, non fa sconti al governo Renzi che sta nascendo: «Matteo stai preoccupato – gli manda a dire – se non abbassi le tasse alle piccole imprese ti faremo nero».
«Non abbiamo perso la speranza, non abbiamo perso la pazienza, non siamo sereni, siamo incazzati – è il monito del presidente di Cna, Daniele Vaccarino – Gli invisibili ora sono tornati visibili perché le ragioni dell’impresa diventino le ragioni del Paese». Diminuire la pressione fiscale – che tocca il 66%, comprese le imposte locali – è l’obiettivo numero uno dei manifestanti: folto il gruppo di quelli che indossano il caschetto giallo da cantiere e le magliette con l’avviso triangolare di pericolo «caduta tasse». Per non morire, però, artigiani e commercianti chiedono anche lo snellimento dell’«oppressivo carico burocratico», il taglio del cuneo fiscale per agevolare le assunzioni e il saldo dei crediti che le imprese vantano con lo Stato. Handicap strutturali che, in una situazione di forte crisi come quella che sta vivendo il Paese, rischiano davvero di far detonare la bomba sociale.
«Diciamo basta alla scorciatoia fiscale, basta usarci come una cassa continua da cui prelevare ogni volta che c’è bisogno – attacca Marco Venturi, numero uno di Confesercenti e presidente di turno di Rete Imprese Italia – Questa grande manifestazione è la prova che la nostra pazienza è finita». Serve una svolta, un cambio di rotta repentino dal prossimo esecutivo: «Abbiamo pagato sulla nostra pelle tutti gli errori di scelte politiche dissennate. Ma le istituzioni sappiano che, senza adeguate risposte, non ci fermeremo».
L’Unità 19.02.14
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La marcia dei 60mila “Le tasse ci uccidono”, di GAD LERNER
ROMA ORE 7, Stazione Centrale di Milano. Tutto esaurito sui Frecciarossa della protesta “perbene”, senza forconi ma con tanta rabbia in corpo, che scendono nella capitale a lanciare il grido delle imprese che muoiono. Commercianti in prima classe, artigiani in seconda.
ANCHE se è solo una maliziosa coincidenza («e comunque noi il biglietto ce lo paghiamo di tasca nostra»). In sessantamila gremiranno una piazza del Popolo mai vista così, facendola diventare piazza delle Piccole Imprese Incazzate. Con le cinque sigle dell’associazionismo di categoria (Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti) che sbiadiscono nel poderoso cartello di Rete Italia: nuovo movimento che riunisce insieme commercio e artigianato. Una forza d’urto mica da ridere sul sistema italiano. E meno male che son gente tranquilla a cui non piacciono troppo i Forconi, ci sarebbe da aver paura. Ma il fossato che ormai separa questa folla dal palazzo della politica in affannosa ricerca di nuovo governo, proprio lì a pochi passi, non pare colmabile neanche da certi vecchi dirigenti navigati come il Carlo Sangalli, divenuto supercapo dei commercianti dopo una vita di navigazione democristiana che ora gli serve a poco, perché i ponti stanno bruciando. Sicché i comizianti moderati, che prendono il battimani più sonoro quando gridano «ci siamo rotti i c…», non sono poi così dissimili dai sindacalisti alle prese con le piazze incendiarie del paese che fu.
In treno la sintesi me la regala Marino Molinari da Sesto Calende, appena pensionato dopo 41 anni da carrozziere: «Mi avevano insegnato che l’asinello sfinito, quando cade in ginocchio, va scaricato. Invece Monti e la Fornero, poi Letta e Saccomanni, sulle nostre piccole spalle di peso ce ne hanno aggiunto, senza rendersi conto che insieme alle piccole imprese è tutta l’Italia a andare in malora». La cifra che fa paura: 372 mila attività che hanno chiuso i battenti l’anno scorso, oltre mille al giorno. La minaccia che ne consegue: ritrovarsi ben presto questa moltitudine pacifica innervata
da manipoli di rivoltosi. Perché, come ammette Gianni Damin da Samarate: «Se mancasse il pane alle mie figlie, farei come i Forconi. E se bastoni un gatto chiuso in una stanza, quello alla fine ti graffia».
Pensare che il giovane Damin è il più benevolo nei confronti di Renzi: «Non ho alternative, devo fidarmi di lui. Se questo ragazzo fallisce, fallisce il paese». Anche se aggiunge subito che «ci vorrebbe un Renzi senza Pd per convincermi davvero».
Mi ha colpito questo atteggiamento di fiducia in sospeso concessa al marziano in arrivo a Palazzo Chigi («A parole è bravo, ma poi si ritrova intorno certa gente…»). Così, districandomi tra la folla di piazza del Popolo, sono andato a cercare il gruppo della Confesercenti di Ferrara e Comacchio che reggeva il cartello: «Renzi se ci 6 batti un colpo». E li ho trovati tutti con indosso la stessa T-shirt disegnata per l’occasione: “Politici=…” e segue il disegno di un maiale. Suino che con astuzia hanno disegnato come salvadanaio rotto. Pensate forse che Renzi non sia anche lui un politico? Ce l’avete con tutti? Torna in ogni capannello la furia per i vitalizi e gli altri privilegi dei politici da abolire; non importa che diano poco gettito, bisogna lo stesso cominciare da lì la punizione esemplare. Se Renzi ci riesce, smette di essere un politico. Del resto a Francesco Boran dell’Ascom di Padova, pur orgoglioso del passato democristiano, il primo Berlusconi piaceva né più né meno come il Renzi di oggi. Ne ho incontrati molti di ex berlusconiani pronti a diventar renziani, prima sul treno e ora in piazza.
Nel Frecciarossa che ci ha portati a Roma serpeggiava tra uno scompartimento e l’altro una storia istruttiva: il braccio di ferro tra le assicurazioni e le carrozzerie auto. Col suo dito fratturato da una martellata, a raccontarmela è Daniele Parolo, presidente degli artigiani Cna lombardi nonché titolare di un’autofficina a Gallarate: «In Parlamento eravamo riusciti a far abrogare la norma voluta dalle assicurazioni per obbligare gli automobilisti a rivolgersi a carrozzerie dalle tariffe ribassate. Ma ecco che Zanonato, oplà, la ripropone tal quale in consiglio dei ministri. Strano, vero? Tra i carrozzieri poveretti e i grandi gruppi assicurativi, il governo non si comporta proprio come un arbitro imparziale. Al solito: forti con i deboli e deboli con i forti».
Denunciano un fisco disgiunto dal risultato economico. Due giovani associati in un’impresa termoidraulica di Albavilla benedicono il giorno in cui decisero di non assumere mai un dipendente. Franca Anzani invece condivide con la figlia un’azienda di restauri e chiede a Renzi di smetterla con la tassazione inasprita sui contratti a tempo determinato, altrimenti non si lavora più. La morìa delle imprese assume un carattere più sinistro se la focalizzi su un territorio prospero come la provincia di Varese: «Mille fallimenti nel 2013, mentre nel limitrofo Canton Ticino nascevano 1500 nuove imprese. Novemila aste fallimentari, erano solo 200 tre anni fa».
Passi nello scompartimento dei commercianti e ti accoglie una fioraia di Cinisello Balsamo, Giuliana Colombo, vincitrice del concorso per la migliore vetrina di Natale ma infuriata per la nuova tassa dei rifiuti: «Ogni volta che porto fuori un bidone sono 50 euro», spara, «e la giunta comunale è del Pd». Mentre il suo collega macellaio Giuseppe Penza ridacchia degli arresti per tangenti avvenuti proprio oggi: acciuffati gli assessori del suo paese, Cologno Monzese. Riceviamo la benedizione di un gruppo di giovani signore brianzole che in verità sono dirette all’udienza di papa Francesco («ma pregheremo per voi») mentre percorriamo vagone dopo vagone il rosario di lamentazioni da autotrasportatori, idraulici, acconciatrici, designer, falegnami, artigiani tessili, tipografi contoterzisti in ogni declinazione possibile dell’accento lumbard bagnato in salsa terrona. Tutti col loro bravo berretto, le casacche e le bandiere di nylon… Solo un ragazzo che arriva da un paese della bassa padana al confine fra le province di Bergamo e Cremona s’è portato il tricolore di stoffa, con su scritto “Summer Bar”, l’azienda che considera la sua patria e cerca disperatamente di non chiudere.
E’ ancora il presidente lombardo della Cna, Daniele Parolo, a ricordarci i precedenti di questa inedita discesa a Roma. Per la prima volta commercio e artigianato uniti nella lotta, perché l’industria sarà anche lo scheletro dell’economia ma le piccole imprese del lavoro autonomo coalizzate in Rete Italia ammontano a 4.383.500 unità produttive in cui sono occupate più di 24 milioni di persone. Come dire, la prima volta dei moderati che se si arrabbiano, guai, producono uno scricchiolio minaccioso. I palazzi della politica farebbero malissimo a sottovalutarlo.
Eppure dei precedenti, per quanto rari, ci sono; anche se magari non proprio gloriosi. Come la calata su Roma del 1981 contro i registratori di cassa introdotti dal ministro Visentini. O la manifestazione nazionale di Milano contro la minimum tax del 1993. Se ora volete appiccicare alla folla degli artigiani e dei commercianti la solita etichetta degli evasori fiscali, neanche riuscirete più a farli arrabbiare. Perché dentro di loro si riconosce un duplice sentimento che i luoghi comuni del passato non bastano a contenere.
Prima di tutto c’è un orgoglio di appartenenza all’Italia che ancora lavora mentre gli altri parlano, tramutatosi nella prima vera piazza del lavoro autonomo organizzato. E’ come se la massa dei disperati fosse riuscita a cambiar pelle alle sue corporazioni, quelle sigle da sempre intrecciate al clientelismo politico di basso rango. Si lucida gli occhi, in piazza del Popolo, il direttore del Censis, Giuseppe Roma: pare quasi la sua festa un tale raduno che impone la forza del “sociale” caro a De Rita e restituisce una funzione alle associazioni, quelle che nel loro linguaggio astruso al Censis definiscono “corpi intermedi”. Non a caso esultano personaggi fino a ieri sbiaditi come Carlo Sangalli, Marco Venturi, Daniele Vaccarino. Come minimo, hanno rintuzzato l’insidia dei Forconi. Ma forse gli toccherà cavalcare un movimento più dirompente ancora.
Il secondo sentimento che percepivi in piazza ieri a Roma, era più ambiguo: tra il rancore e la malinconia. Penso alla rabbia con cui Aniello Pietrofesa, leader dei 400 venditori ambulanti (con licenza) di Salerno — e grande sostenitore del sindaco De Luca — mi raccontava degli stranieri senza licenza, circa 600, che secondo lui sarebbero protetti dalle autorità. Ma penso anche agli occhi lucidi del bolognese Stefano Gilli con la sua impresa di subfornitura metalmeccanica a Casalecchio: «Mio padre l’ha costruita, poi i nazisti l’hanno internato. Lui di manifestazioni ne ha fatte tante, e a me viene il magone quando penso che non ci sono riusciti né i tedeschi né i fascisti a chiuderci l’azienda… e invece ci stanno riuscendo questi qua».
La Repubblica 19.02.14