Il primo grande scoglio in economia che il Governo di Matteo Renzi, se si costituirà, dovrà affrontare riguarda il riconoscimento, da parte della Commissione Ue, della causola di flessibilità per investimenti.
Sarà anche la cartina di tornasole della solidità delle dichiarazioni rese nelle scorse settimane dal nominando premier sulle ipotesi, ritenute non irrealistiche, dello sforamento dei parametri del Patto europeo di stabilità e crescita.
Il problema si pone perché la Commissione, nei giorni scorsi, ha fatto presente che, non essendo stati comunicati dall’Italia i dati sui risparmi di spesa, che rappresentano una condizione per l’ammissibilità del ricorso alla suddetta clausola, sono venute meno le possibilità per il suo riconoscimento, avviandosi Bruxelles, a partire dal prossimo 25 febbraio, a formulare le stime economiche per i paesi dell’Unione per il corrente anno. L’utilizzo della clausola varrebbe circa 3 miliardi, peraltro già previsti nel bilancio. Il Tesoro ha replicato alla presa di posizione della Com- missione, da un lato, preannunciando che i dati richiesti saranno comunque comunicati e, dall’altro, che la concreta attivazione della clausola in questione comporterà comunque una «manovra» per la compensazione dal lato della spesa.
Occorre avere presente che, uscita l’Italia dalla procedura di infrazione e collocandosi il beneficio della flessibilità per investimenti pur sempre entro il parametro del 3 per cento relativo al rapporto deficit-Pil – che per l’anno è stimato al 2,5 per cento – ne discende quasi un diritto al conseguimento di tale beneficio, pur in presenza di ritardi nell’elaborazione dei programmi di spesa e, in particolare, nella pubblicizzazione dei primi impatti possibili della spending review; a proposito di quest’ultima vi sono state fin qui innumerevoli dichiarazioni e buoni propositi del commissario Carlo Cottarelli, ma ora è venuto il momento della concretezza. Non può essere il solo ritardo a escludere dall’agevolazione.
L’Unità 17.02.15