Di sicuro è giuridicamente bene argomentata, ma l’ipotesi di reato, istigazione alla disobbedienza, contestata dalla procura di Genova a Beppe Grillo suona strampalata: patafisica applicata alla giurisprudenza. E i nove mesi di reclusione, chiesti dalla procura di Torino, per violazione dei sigilli di una baita durante una manifestazione No Tav, sono un’esagerazione.
Soddisfano le tifoserie ma trasformano il diritto in un’arma politica, in un bastone punitivo. È vero che Beppe Grillo ha incitato, ha aizzato, ha insultato, e qualche giorno fa si è spinto sino a trasformare la sua bacheca web in un muro di latrina sul quale scrivere oscenità contro la presidente della Camera, Laura Boldrini. E molti di noi da tanto tempo pensano che il grillismo è un orrore politico. Ma questa offensiva della magistratura, deformata dalla voglia di offenderlo, è un’invasione di campo.
So bene che la mia solidarietà non gli interessa e che, alla critica politica, Grillo preferisce questa enormità dei pm che in fondo avvalorano le sue borie di Davide contro Golia, di testimone di libertà contro la tirannia, di bandito nella foresta di Sherwood. È una soperchieria insomma controproducente ed è musica alle orecchie di Grillo, il quale già quando fu denunziato, in faccia ai carabinieri incrociò i polsi come per farsi ammanettare. Si crede Gobetti, si spaccia per un Danilo Dolci settentrionale, si traveste da Alexander Langer. Ovviamente è un imbroglio: Grillo è un luddista sfascia tutto. Quelli erano liberali e pacifisti, nutriti di libri e di ideali, lui è illiberale e attaccabrighe, con il ghigno triste dell’arruffapopolo di talento.
Ebbene, proprio per questo gli eccessi giudiziari lo rafforzano, come un barattolo di spinaci rafforza Braccio di Ferro. Certo i magistrati di Genova e di Torino non sono degli sprovveduti, hanno a che fare con i rigurgiti del terrorismo e con le violenze dei No Tav che a volte hanno trasformato la Val di Susa «in un centro sociale a cielo aperto» come ha scritto il nostro Paolo Griseri. Ma Grillo fa politica, in Parlamento come in strada, contro l’alta velocità, contro i termovalorizzatori e contro tutto ciò che si muove ed è moderno, televisione compresa. Ed è politica anche la disobbedienza che predica e che sta al suo movimento come la lotta di classe stava al Pci. Persino le cesoie e la sega che ha usato per entrare nella baita Clarea sono, almeno sino ad oggi, politica e non corpi di reato. Dunque alla fine questi capi di imputazione sembrano anch’essi prodotti della paccottiglia complottistica inventata dalla Casaleggio associati, insieme ai bavagli ostentati alla Camera, all’impeachment, alla scatoletta di tonno, alle urla “boia chi molla”, “al golpe al golpe”, “siete tutti mafiosi” … Con Grillo nel ruolo, finalmente di nuovo comico, del dissidente sovietico, dell’eroe che si batte contro il regime e contro chi vuole fare della democrazia un recinto di prepotenza.
Lo so che i paragoni sono pericolosi, ma c’è un precedente che mi riporta alla mia giovinezza. Quarant’anni fa, per combattere le violenze del Msi di Almirante, molte procure d’Italia, da Milano sino a Catania, lo misero sotto inchiesta. E certo allora le ragioni erano ben più solide, perché c’erano i picchiatori, le botte dei cuori neri, gli esplosivi … Ma quando arrivarono alla richiesta di sciogliere il Msi con articoli e commi, di dichiararlo fuori legge, ci fu il cortocircuito. Era il 1971, e quel piccolo brutto partito, erede del fascismo, divenne il primo partito in Calabria, in Sicilia, a Napoli: tre milioni di voti.
da La Repubblica
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