Giorgio Napolitano è stato salutato con una standing ovation, al termine del suo discorso a Strasburgo, con il quale ha cercato di dare un forte messaggio per combattere il sentimento crescente di disaffezione dei cittadini verso la costruzione europea, considerata comunque irreversibile. Il Presidente ha stigmatizzato i populismi distruttivi, che vogliono un’altra Europa (e i leghisti non hanno mancato di organizzare il loro teatrino in aula), sottolineando tuttavia gli errori commessi in questo decennio e la necessità di completare la costruzione dell’euro, nata come moneta senza una politica economica e una governance comune che lo sostenga. Napolitano ha elencato le carenze del progetto europeo nella fase attuale, a partire dalla piaga sempre più dolorosa della disoccupazione giovanile, agli egoismi nazionali e alla miopia mostrata dalla classe politica europea e, finalmente, alla politica dell’austerità fine a se stessa, non più sostenibile, e ha richiamato a una maggiore solidarietà i governi europei. Cercando di mettere in evidenza la necessità di trasmettere ai popoli europei i valori che rappresenta l’Europa e il suo contributo allo sviluppo della civiltà nel mondo, ha in pratica aperto la campagna elettorale per le imminenti elezioni europee, nell’auspicio che il confronto si svolga su livelli più elevati e su perigli egoismi nazionali. Ha ricordato che in questi giorni ricorre il trentesimo anniversario del «Progetto del Trattato» di Spinelli che aprì la strada al passaggio dalla Comunità all’Unione, sottolineando la lungimiranza di quella classe politica che ha visto Kohl e Mitterand recarsi mano per la mano a Verdun a rendere omaggio ai caduti della Prima guerra mondiale, di cui ricorre quest’anno il centesimo anno del suo scoppio. Mancano tuttavia le proposte concrete (e queste non spettano a Napolitano) e senza queste sarà problematico battere i partiti antieuropei che si apprestano a raccogliere ampi consensi in tutti i Paesi. Il Partito per la Libertà di Geert Wilders, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage, il Movimento di Beppe Grillo potrebbero risultare in testa nei rispettivi Paesi, ma anche il Partito dei Veri finlandesi e Alternative fuer Deutschland potrebbero avere ottimi risultati. Il Presidente ha detto che il compito di ravvivare l’idea di Europa spetta soprattutto al Parlamento europeo ma non è andato oltre, né ha voluto spingersi, per cortesia istituzionale, fino ad auspicare che esso agisca come Assemblea costituente per riformare gli attuali trattati, come sostenuto con forza dal Consiglio italiano del movimento europeo e da altre analoghe organizzazioni europee, affinché l’Europa torni a volare alto. Ma intanto le varie famiglie europee si dedicano al poco edificante mercato dei posti da assegnare. Il Pse ha già indicato alla carica di presidente della Commissione, il presidente uscente del parlamento europeo Martin Schulz, mentre il Ppe oscilla tra Michele Barniere Viviane Reding, e Angela Merkel indica il lussumburghese Jean Cluade Junker come candidato alla carica di presidente del Consiglio in sostituzione di Van Rompuy. Anche Enrico Letta è indicato come un possibile candidato a questa carica, generalmente ricoperta da un primo ministro. Ma molti altri sono i posti in palio, a partire da quello di Alto rappresentante e quello di presidente dell’eurogruppo, senza considerare i posti extra Ue, come ad esempio quello di Segretario generale della Nato al quale aspira anche l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini. Se la campagna elettorale per le prossime europee finirà per avere come unico vero sfondo un pacchetto di nomine che contemperi gli interessi della varie famiglie politiche dei Paesi piccoli e dei Paesi grandi, dei Paesi del sud, del nord o dell’est, difficilmente il messaggio di Napolitano, destinato a scuotere l’attuale classe politica europea «senza vista lunga» riuscirà a incidere nel tessuto politico e sociale degli europei, rischiando di venire classificato dalla pubblicistica propagandista, che va per la maggiore, come un ulteriore discorso appartenente all’europeismo di maniera o all’europeismo deluso.
da L’Unità