A Torino migliaia per avere la tessera-sconto. I ragazzi in coda a Palazzo Nuovo a Torino, sede delle facoltà umanistiche
A generalizzare – potremmo dire parafrasando Andreotti – si fa peccato (verso l’intelligenza), ma spesso ci si azzecca. Come non dar ragione a Ernesto Galli della Loggia che ieri, dalle pagine del Corriere, stigmatizzava la volgarità dei giovani? Chiunque abbia a che fare con la fascia d’età 15-25 anni si scontra, prima ancora che con il turpiloquio o la bestemmia, con una diffusa sciatteria della mente, con un appiattimento del pensiero di cui la parolaccia o l’oscenità non sono che conseguenze e neppure tra le più preoccupanti. Ma se accettare l’evidenza del luogo comune è un sano antidoto contro i facili idealismi che per lungo tempo abbiamo coltivato, non meno importante, e anche piacevole, in fondo, è lasciarsi sorprendere dalla realtà. E la sorpresa, specie con i giovani, è sempre in agguato. Ne ho avuto la prova ieri, entrando in Università per la mia settimanale dose di esami (non meno di 70 la settimana prescrive il ministero, il minimo per allontanare da sé l’immagine del docente fannullone).
Ho varcato la soglia di Palazzo Nuovo e mi sono trovato di fronte a una muraglia umana. A chi non è pratico dei luoghi occorre spiegare che Palazzo Nuovo, a Torino, non è affatto nuovo e anche quando lo era (negli Anni 60) sembrava già vecchio e malconcio. La descrizione più efficace mi sembra quella che ne dà Giuseppe Culicchia in Tutti giù per terra: un palazzo dell’Onu coricato su un lato. E allora immaginatevi l’atrio stretto e lunghissimo di questo portento architettonico completamente occupato da ragazzi in coda: un incubo. Puntando verso la mia aula, seguo a ritroso il serpentone umano e, come nei peggiori incubi, quello sembra non finire mai, neppure nel punto in cui, al contrario, l’atrio finisce. Lì l’anaconda si infila in un corridoio laterale, poi, con due spire corrispondenti ad altrettante rampe di scale, sale fino al primo piano, e nuovamente si stende in orizzontale: è mostruoso. E ancor più mostruoso è il fatto che nessuno si agiti, che nessuno strepiti e che nessuno cerchi di passare avanti agli altri.
Preoccupato, interrogo uno dei presenti: mi scusi, ma perché siete in coda? La risposta mi spiazza: sono tutti in fila per ritirare l’abbonamento ai musei cittadini a tariffa speciale. Non sono due o tre, sparute mosche bianche smarrite in una moltitudine di mosconi che ronzano senza scopo, sono migliaia. Migliaia di ragazzi che accettano il disagio di ore di coda per la tessera musei, per poter godere di un anno di arte. Non illudiamoci, anche migliaia non vuol dire maggioranza, non vuol dire che quando definiamo i giovani pigri e superficiali siamo completamente fuori strada, ma migliaia significa comunque una massa critica importante, significa una speranza da opporre al nostro cinismo che procede di pari passo con la canizie. E allora, io dico che bisognerebbe schedarli tutti i ragazzi che erano a Palazzo Nuovo ieri mattina.
Schediamoli, mettiamoli in un database per essere certi di non perderne nemmeno uno, perché sono la materia prima rara e preziosa su cui costruire il nostro futuro. No, non tutti i giovani sono il futuro (se non in senso puramente demografico), ma quelli che ieri stavano in coda per conquistarsi una fetta di cultura sì, e lo sono quelli che ieri avrebbero voluto essere lì e non hanno potuto perché al lavoro (pochi, purtroppo), alla ricerca del lavoro (molti ma non tutti) o impegnati in qualche aula (ma perché tutti nella mia?). Non dobbiamo perderne neppure uno, dobbiamo seguirli, dobbiamo privilegiarli, anche a costo, se necessario, di dimenticare gli altri, quelli di cui parla Galli della Loggia, quelli orgogliosamente avviati verso la strada dell’inciviltà. Fare finta che queste migliaia di persone serie non esistano o, peggio, pensare che siano uguali a tutti gli altri è un errore che non possiamo più permetterci.
da La Stampa