Dal 2012, con la vittoria di Beppe Grillo in Sicilia, fino alla scorsa primavera, l’opinione pubblica di sinistra ha coccolato i Cinque Stelle. Dopo il successo grillino alle elezioni di febbraio un manifesto di intellettuali spingeva perché il Partito democratico formasse un governo con Grillo e Gianroberto Casaleggio, con giornali, riviste, case editrici fiancheggiatori del movimento mobilitati perché l’ex attore andasse al potere. Analogo fermento si raccolse attorno alla candidatura di Stefano Rodotà al Quirinale: ignari che il costituzionalista aveva, in un’intervista, paragonato con severità Cinque Stelle alla destra oltranzista ungherese di Orban, i grillini ne scandivano il nome in strada. Né l’infatuazione era solo italiana: l’autorevole «New Yorker», in un rapito ritratto di Grillo, concludeva con l’ex attore che, al cadere della sera, chitarra in mano, canta ai pescatori sardi una ballata, «con la rauca voce di Ray Charles».
In politica però un anno può essere più struggente di un vecchio blues e la cotta della sinistra per Grillo sembra svaporarsi. Ora che si bruciano i libri del decano Corrado Augias, e il parlamentare 5 Stelle Roberto Fico inquadra il gesto nella «rabbia incontenibile», ora che la presidente Boldrini viene sottoposta a uno stupro mediatico aizzato da Grillo via blog, è impossibile rivedere nei parlamentari di Grillo gli illuminati riformatori che si volevano al governo un anno fa con queste parole «Mai, dal dopoguerra a oggi, il Parlamento italiano è stato così profondamente rinnovato dal voto popolare. Per la prima volta i giovani e le donne sono parte cospicua delle due Camere. Per la prima volta ci sono i numeri per dare corpo a un cambiamento sempre invocato, mai realizzato. Sarebbe grave e triste che questa occasione venisse tradita, soprattutto in presenza di una crisi economica e sociale gravissima».
Ora con disinvoltura si taccia Grillo da «fascista», l’amico nobile si muta in nemico spregevole. Poco da meravigliarsi, il trasformismo narciso non è mai mancato nella storia intellettuale del Paese. Ma è invece importante capire perché all’errore di incenso 2012-2013 si sovrappone l’errore di vetriolo 2014, senza trovare equilibrio analitico davanti non al «fascismo» che nulla c’entra, ma al populismo 5 Stelle.
La ragione del primo fenomeno è semplice, Grillo veniva visto da tanti come un apriscatole che poteva infine far saltare l’ermetico nemico Berlusconi, la cui tenuta per due decenni beffava le teorie «del partito di plastica». Chi abbia studiato il blog e la letteratura politica di Casaleggio e Grillo sa che non c’è stato in loro alcun cambiamento di toni o contenuti. Dal primo Vaffa Day, al voto di febbraio, Grillo ha sempre considerato la democrazia italiana, le istituzioni repubblicane seguite al referendum del 1946, la classe dirigente tutta, una rovina. Ha sempre postulato di volere agire da solo per rompere il sistema, senza compromessi, alzando il tiro, dentro il 5 Stelle e in Parlamento, niente compromessi, niente negoziati. Il risibile impeachment contro il presidente Napolitano era già scritto nella gita al Quirinale di Grillo un anno fa.
Jacopo Iacoboni ha, in un bell’articolo, rievocato i lontani giorni in cui al tempo dell’adesione dell’Italia alla Nato il Partito comunista fece ostruzionismo e le Camere ribollirono. In altre occasioni furono i radicali di Pannella, storico l’interminabile discorso di Marco Boato, a far ricorso al filibustering. La differenza tra allora e adesso è quanto raramente Pci e radicali siano ricorsi all’ostruzionismo, consapevoli che fosse un «mezzo», da utilizzare solo in casi estremi – come la collocazione internazionale dell’Italia nella Guerra Fredda. Per Grillo bloccare la Camera non è invece un «mezzo» per ottenere qualcosa, con il 25% dei voti avrebbe da incassare risultati politici ogni giorno. Fermare il dibattito democratico in Parlamento, e poi a cascata nel Paese, è il «fine», la «meta» nella, evidentemente illusoria, persuasione che il caos «manderà a casa la Casta», dando il governo a Grillo e Casaleggio. Si tratta di rompere, non ricostruire.
Aver creduto che si potesse lanciare un programma di riforme per il XXI secolo su queste basi è abbaglio su cui meditare. Ma altrettanto grave sarebbe ora per il Pd e la sinistra duplicare l’errore degli ultimi 20 anni, quando gli elettori di Berlusconi sono stati branditi come «fascisti, mafiosi, evasori fiscali». I milioni di italiani che hanno votato per Grillo vengono – rileggete i flussi disegnati da Roberto D’Alimonte – da destra, centro e sinistra. Lo hanno scelto, e in gran parte ancora dichiarano di volerlo votare non per bruciare libri, dire lepidezze orrende sulla Boldrini, parlare nell’italiano maldestro del parlamentare medio 5 Stelle, o perché depressi dalle scie chimiche. Lo votano perché sommano il disgusto per la corruzione e l’inanità della classe dirigente italiana tutta, con la fatica di sbarcare il lunario oggi. Molti di loro compiono l’errore intellettuale – comprensibile per l’angoscia sociale che lo genera – di credere che il lavoro manchi per colpa della corruzione, che il figlio sia precario «Perché Quelli rubano». Non è così, anche quando «Quelli» smetteranno di rubare, senza innovazione, tecnologia, mercato, cultura, ricerche, laboratorio, scuola, il lavoro in Italia non si troverà, Electrolux non è un caso, è l’ultimo sintomo della deindustrializzazione che da 50 anni trasforma l’Occidente.
Di queste riforme Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio sono, e resteranno, nemici giurati. Saranno sempre schierati per il caos, via carta, tv, web, convinti che serva a spezzare il sistema. Queste riforme sono insieme salvezza per il Paese e sconfitta certa per 5 Stelle. Come non bisognava ieri flirtare vanesi con Grillo, non si devono adesso insultare e isolare i suoi elettori perbene. Va detta loro, con onestà e senza frivolezza, la verità sulla tempra morale dei fondatori di 5 Stelle. Va loro mostrata un’etica pubblica lucida, con tagli alle spese politiche severe, ma poi serve un piano di crescita coerente, logico e sostenibile. Solo la crescita azzittirà il Pifferaio ligure in fretta. Avrà allora tempo per show di successo o per leggere qualche libro, magari non flambé.
da La Stampa