Dal dibattito sul futuro Electrolux emerge la necessità che questo Paese torni a confrontarsi con il tema delle politiche industriali. Se ne parla in modo carsico, alla luce di singole vicende, con scarsa visione strategica, solo a valle di crisi occupazionali. Mai per definire gli orizzonti e far leva per l’economia del Paese. Il quadro per questo 2014 è drammatico. Migliaia di lavoratori e famiglie per le quali si apre uno scenario d’incertezza, che si traduce in un impoverimento del paese, sia dal punto di vista sociale che sul versante produttivo e industriale.
Vengo dall’ area Terni-Narni, a lungo «terra promessa» dell’industrializzazione: acciaierie, polo chimico e altre eccellenze produttive, espressione della filiera della conoscenza e dell’operosità di migliaia di lavoratori. Oggi, Terni è la provincia con la più elevata presenza di multinazionali dopo quella di Milano. L’esperienza maturata da assessore regionale allo sviluppo economico mi ha dato la possibilità di riflettere sui percorsi possibili verso quel ruolo strategico, genericamente definito «politiche industriali».
Singolarmente, territori, aziende, distretti produttivi non sono indipendenti, ma figli della stessa matrice, che interroga scelte industriali nazionali. Il nostro Paese richiede una governance multilivello e sinergica, perché le soluzioni alle crisi non giungono né dalle sole forze del governo, né solo dall’iniziativa privata. Nessuno degli attori, da solo, ha strumenti e risorse sufficienti ad essere vincente su un tavolo da gioco con poste elevatissime.
Il tema delle multinazionali e della competizione globale richiede una diplomazia istituzionale e di governo più forte, scevra da neostatalismi, che difenda e potenzi le produzioni e il lavoro italiani e contemporaneamente sia in grado di offrire vantaggi localizzativi sul piano dell’efficienza amministrativa e della giustizia, infrastrutture materiali e immateriali, professionalità, qualità della manodopera, e dell’investi- mento. Cioè su quella indissolubile rete di capitale sociale e umano che può fare la differenza per la crescita e la competitività di un Paese.
Occorre una riflessione collettiva per calibrare nuove politiche industriali, a cui vanno associate scelte orientate verso lo snellimento dell’apparato burocratico, agevolazioni fiscali e incentivi per nuova forza lavoro. Non aiuti di Stato, ma una nuova stagione di scelte che investano su industria, ricerca e sviluppo, pubblica e privata, e si mettano al fianco del sistema delle imprese e del lavoro. Infine, una legislazione innovativa per adeguati strumenti di accesso al credito come i Confidi. In Italia le imprese dipendono per l’85% dalle obbligazioni con sistema bancario, non è possibile lasciarle sole di fronte al tema del credito. Il sistema delle garanzie e dei Confidi diventa chiave di nuove politiche pubbliche che non occupano il campo altrui e simultaneamente fanno gli interessi del paese. Perché è necessario dare risposte e farlo presto.
L’Unità 31.01.14