Governare comunicando. Sembra essere il motto del ministro Gelmini, non a caso fedele seguace del Grande comunicatore. Da più di un anno Gelmini ha assunto la responsabilità dell’università ma la sua azione non annovera che annunci.
Il 10 novembre il governo approvò le linee guida di una riforma universitaria. Di mese in mese si attese che queste linee guida si tramutassero in un disegno di legge fin quando, il 24 marzo, il ministro riunì al ministero un’eletta platea di rettori e annunciò che il testo legislativo era ormai quasi pronto e sarebbe stato presentato entro pochi giorni. L’attesa è durata ancora, con continui rinvii a ritmo quasi settimanale, fino al 14 luglio quando, in un seminario al senato e davanti alla solita platea di rettori, il ministro ha spiegato per la terza volta i contenuti della sua riforma ma ha rinviato tutto all’autunno.
Tutti e tre gli annunci ministeriali sono stati abilmente strombazzati sulla stampa e in televisione come riforme già varate. L’opinione pubblica è stata bellamente ingannata perché dalle parole non si è mai passati ai fatti. Ogni volta abbiamo anche appreso che l’istituzione di un’Agenzia nazionale di valutazione dell’università è una necessità imprescindibile se si vuole che parte dei finanziamenti vadano a premiare gli atenei che ottengono i migliori risultati nella didattica e nella ricerca. Giusto. Tanto è vero che quest’agenzia fu introdotta dal governo Prodi nel 2006 e l’iter fu definitivamente completato nel febbraio 2008. Ma, appena in carica, il ministro Gelmini ne bloccò subito l’istituzione per apportare le modifiche suggerite da una commissione di esperti. Ancora oggi non sappiamo a quali risultati si sia pervenuti salvo che sembra che non se ne parlerà prima dell’autunno. Comunque sia, poiché i tempi dei approvazione di un decreto del presidente della repubblica non sono brevissimi, il ritardo dell’istituzione di questa importante agenzia si misura già adesso almeno in due anni. Un vero peccato, senza nemmeno che si possa capire se e in quali punti il “regolamento Mussi” sia stato migliorato.
Per non parlare dei concorsi universitari.
Molti posti furono banditi dagli atenei nel 2008, utilizzando anche i finanziamenti aggiuntivi per i posti di ricercatore messi a disposizione dal ministero Mussi. E‚ più di un anno che i candidati hanno presentato regolarmente domanda ma il ministero non ha formato le commissioni giudicatrici, a causa dell’impasse normativa indotta da un affrettato decreto-legge dello scorso novembre.
Centinaia di persone meritevoli, molti dei quali precari con stipendi da fame, sono state beffate ma nessuno ne parla. Il loro timore è che le future regole concorsuali, queste sì annunciate con dovizia di particolari e di entusiasmo, facciano passare nel dimenticatoio i concorsi da svolgersi secondo la legge vigente.
Non si parla nemmeno del maxitaglio dei finanziamenti statali alle università che scatterà nel prossimo gennaio, un taglio drastico a cui la maggior parte delle università non sopravviverebbe, come ha scritto Francesco Giavazzi, non certo un oppositore del ministro. Un taglio che si abbatte sul sistema universitario meno finanziato d’Europa (in proporzione al pil e alla spesa pubblica) secondo i dati internazionali dell’Ocse e che pure non è risultato essere il peggiore, anzi si è difeso dimostrando una ragguardevole capacità di far fruttare bene i pochi finanziamenti per ottenere laureati e ricerche di buona qualità.
Se l’opinione pubblica è stata ingannata, non lo è stato il mondo accademico. Colpito per mesi da un attacco mediatico imponente, adesso vive l’ennesima fase di sconforto.
Sente solo annunciare riforme e assiste impotente alla cronaca della morte annunciata dell’università italiana. Perché il ministro Gelmini non porta subito in parlamento il suo testo di legge e lo lascia confrontare con quello del Partito democratico depositato il 22 maggio? Sarebbe bene passare dall’autocrazia degli annunci alla democrazia delle scelte.
Europaquotidiano.it, 21 luglio 2009
1 Commento