La tagliola finora non era mai stata usata in Parlamento. I grillini hanno deciso di farla scattare, spingendo il loro ostruzionismo fino al limite estremo: se Laura Boldrini non vi avesse fatto ricorso, gli italiani sarebbe stati costretti a pagare anche la seconda rata dell’Imu, dopo aver già pagato il conto del pasticcio voluto da Berlusconi e troppo supinamente accettato dal governo.
La «tagliola» è una norma estrema del regolamento della Camera, introdotta nel ’97 dopo la famosa sentenza della Consulta che vietò la reiterazione dei decreti-legge, divenuta una scandalosa consuetudine incostituzionale. L’effetto della tagliola è lo stop all’ostruzionismo parlamentare e la messa in votazione del decreto, un attimo prima che scada il termine e ne decadano tutti gli effetti giuridici.
Le opposizioni, ovviamente, hanno il diritto di usare ogni strumento legale a loro disposizione per contrastare i provvedimenti che non condividono, ma non hanno il diritto di impedire alla maggioranza (e al Parlamento) di pronunciarsi su un decreto. Finora, anche nelle battaglie politiche più aspre, non si era mai arrivati al punto di costringere il presi- dente della Camera ad applicare una norma che contrasta con lo spirito del parlamentarismo. Ma l’estremismo grillino voleva raggiungere proprio questo risultato. E voleva mettere in scena quella rabbiosa e plateale protesta nei banchi di Montecitorio, che aveva lo scopo di delegittimare il Parlamento, di avvelenare il clima, di sovrastare con le grida le altre questioni all’ordine del giorno.
Tutto si può dire tranne che il Movimento 5 stelle sia stato vittima della tagliola. I grillini hanno cercato l’obiettivo per rafforzare, anche simbolicamente, la loro opposizione di sistema. L’efficacia che cerca- no non è quella di emendare, di migliorare le condizioni dei cittadini che li hanno votati, ma quella di produrre l’esito il più possibile negativo, in modo da far risaltare l’antagonismo radicale. Piuttosto che correggere un testo, è meglio che questo esca nella versione peggiore. Qualche tempo fa, il M5s spinse l’ostruzionismo contro un altro decreto-legge fino a mettere a repentaglio i fondi per la ricostruzione dopo il terremoto in Emilia: per fortuna, anche in quell’occasione i grillini furono sconfitti.
Va detto, a onore del vero, che non tutti gli argo- menti usati dai deputati di Grillo contro il decreto sono da disprezzare: lasciano dubbi le modalità con le quali – attraverso una rivalutazione delle quote delle banche – si è realizzata una maggiore autonomia di Bankitalia dal Tesoro, e dunque dallo Stato. Tuttavia, la fondatezza di alcuni argomenti non giustifica l’oltranzismo e la violenza verbale, anzi rende ancora più colpevole il comportamento adottato. È inaccettabile che la denuncia faccia premio su qualunque tentativo di mediazione o di correzione. Una forza politica fa opposizione e marca la propria diversità per costringere la controparte ad una posizione più avanzata, per ottenere qualche risultato anche parziale. Questo è il confronto parlamentare che incide sul Paese. Ieri invece lo scopo della conte- stazione era la sua teatralità, il fare una cosa che non si era mai fatta: così la «tagliola» è diventata un po’ come la risalita sul tetto di Montecitorio. Il nichilismo eretto a filosofia politica e il Vaffa gridato nel Palazzo per rappresentare così un’opposizione sempre più «di sistema».
Grillo e Casaleggio stanno lanciando la campagna elettorale per le europee: hanno bisogno di allargare le distanze. Avevano scommesso su nuove elezioni politiche nel 2014, ma potrebbero aver perso la scommessa. Così hanno programmato un’escalation della loro protesta. Gli insulti al Capo dello Stato non sono frutto del caso o del delirio di un singolo deputato: sono anch’essi programmati. Il rifiuto di partecipare in alcun modo alla riforma elettorale è l’altra scelta strategica che prepara l’offensiva anti-europea. Prepariamoci ad un Grillo che farà impallidire Le Pen, e che tenterà di soffiare alla Lega il primato anche della violenza verbale.
Sono le scelte politiche del Movimento 5 stelle. Che condizioneranno la vita del Parlamento e il confronto politico nel Paese. Se i grillini decidessero di partecipare al lavoro sulle riforme elettorali e costituzionali, potrebbero anche portare a casa dei risultati. Ma l’autonomia del politico per Grillo si fonda sul tanto peggio per l’Italia. Tra l’altro, le riforme dovranno toccare anche i regolamenti parlamentari. Bisogna prevedere tempi certi per le votazioni, non solo dei decreti, ma anche dei disegni di legge che il governo considera essenziali e (pro-quota) di quelli che le opposizioni intendono sottoporre al giudizio dell’aula. Non si tratta di un modo per strangolare il dibattito: fare buone leggi richiede tempo, e da noi il tempo serve anche per cambiare il modo con cui si scrivono le leggi. Troppe norme sovrapposte, pochi testi unici e poca semplificazione. Ma per cambiare il costume legislativo serve certezza sui tempi di decisione. Confronto, contrapposizione, mediazione, poi alla fine decisione. Altrimenti la democrazia muore. Purtroppo, c’è chi vuole l’impotenza della politica per trarne vantaggio.
L’Unità 30.01.14