Cari colleghi, mi rivolgo a voi, in questa occasione, non solo in veste di politica ma di storica che si è occupata per decenni della questione relativa alle persecuzioni contro gli ebrei. Scovando documenti, rintracciando responsabilità, e denunciandone gli orrori, in molti scritti.
Vi scrivo questa lettera per ragionare insieme sul perché sarebbe un gravissimo errore approvare una legge che introducesse il reato di negazionismo. Ciò che, del resto, attraverso numerosissime e autorevoli prese di posizioni la comunità scientifica nazionale e internazionale ha proclamato a viva voce.
E non si tratta di una preoccupazione per così dire corporativa degli studiosi, mossa dall’esigenza peraltro sacrosanta, di difendere la libertà della ricerca scientifica. Tanto meno si vuole dare espressione a un sussiego accademico un po’ snob che non vuole sporcarsi con la recrudescenza di manifestazioni antisemite purtroppo in crescita in tutta Europa, e di cui abbiamo visto le disgustose manifestazioni anche nei giorni scorsi a Roma.
Qual è allora la materia in questione? Con la legge in discussione si introdurrebbe di fatto una “verità di stato”. La verità di stato non solo è cosa profondamente diversa dall’autentica verità storica che è sempre il prodotto di un dibattito critico; essa agisce altresì coattivamente sulle coscienze che quella verità debbono poter liberamente e appunto criticamente assimilare e vivere. A cominciare proprio dai nostri giovani. Insomma la verità storica non si può mai imporre per legge. Per sua natura il pensiero è libero e qualsiasi procedimento che tende a coartarlo non persuade, non convince, non educa.
Per questa ragione il reato di negazionismo ha un effetto controproducente e alimenta, reazioni opposte al suo scopo. Le tesi negazioniste vanno isolate e combattute sul piano della ricerca e su quello, profondo, dell’educazione e del costume ma non si possono imporre per legge. Del resto farne un reato ha significato in Francia, enfatizzarne l‘importanza, farlo uscire dall’isolamento e dall’insignificanza.
Noi abbiamo celebrato il giorno della memoria, in molti casi in modo toccante e autentico, fuori da ogni retorica. Ed è così che si deve fare. Mentre si tratta certo di approfondire la conoscenza e di rendere sempre vigile e viva la memoria, sostenendo anche da parte nostra iniziative che incontrano troppi ostacoli, come la realizzazione del museo dell’Olocausto a Roma. Perché ci sono dei rischi persino nell’uso della memoria. Come prestigiosi e impegnati intellettuali ebrei ci stanno spiegando ormai da anni, l’ipostatizzazione della memoria, quale ritualità della denuncia e dell’ indignazione, finisce per assuefare le coscienze di ragazzi e studenti, raggiungendo l’effetto paradosso dell’indifferenza.
E, per concludere, cari colleghi, vorrei farvi notare come questo reato riveli, inoltre, un’idea profondamente sbagliata del legiferare e della politica che, più è screditata e più pensa di rilanciarsi in una patetica onnipotenza: normando, proibendo, sanzionando, ammanettando…
Come se valori e comportamenti, convinzioni e memoria si potessero stabilire “per legge”, punendo le “opinioni”, siano pure quelle scandalosamente scorrette riguardanti la Shoah, l’omosessualità o le relazioni tra i sessi.
Senza alcuna retorica invece, media, scuola, famiglia, devono formare, educare, ricercare allontanandosi il più possibile dalle altisonanti dalla dannosa dichiarazioni dimostrativa.
Per tutte queste ragioni, vi chiedo dunque di riflettere molto seriamente e di rimandare il testo in commissione giustizia per un’ulteriore approfondimento che preveda anche l’audizione delle principali associazioni storiche e giuridiche che hanno chiesto in queste ore di essere ricevute dal presidente del senato.
da Europa QUotidiano 28.01.14