A Jacques Barrot i conti sul pacchetto Sicurezza continuano a non tornare. Giovedì scorso, a margine della riunione dei ministri dell’Interno europei, il commissario Ue alla Giustizia lo ha spiegato di persona a Roberto Maroni. Il francese teme che la parte concernente i respingimenti degli immigrati in mare aperto non sia compatibile col diritto internazionale, per numerosi motivi a partire dalla possibilità che a bordo delle imbarcazioni possono esserci persone con facoltà di chiedere l’asilo. Con questo in mente, Bruxelles ha inviato una asciutta lettera a Roma per chiedere delucidazioni formali e aprire la porta del dialogo. E’ l’ennesimo passaggio di una telenovela che dura da un anno, da quando cioè il governo Berlusconi ha cominciato a rendere concreta la strategia mirata a rendere più efficace l’azione di controllo e dissuasione dell’ingresso degli extracomunitari. Varato il provvedimento, i servizi dell’esecutivo Ue hanno avviato l’esame dovuto al fatto che la Commissione è il guardiano dei Trattati e deve assicurarsi che le regole del gioco non siano violate. L’indagine, per ora non ufficiale, ha riacceso l’attenzione sul caso.
«In effetti bisogna che l’Italia rispetti non solo le norme Ue, ma anche quelle internazionali», ha avvertito Barrot proprio il 15 luglio, data in cui dovrebbe essere partita la missiva sui respingimenti. «Non c’é possibilità di rimpatrio nei Paesi dove non ci sono garanzie di protezione consolare», avvertiva il francese, rapido a sottolineare che «abbiamo interrogato il governo italiano sulle misure intraprese in materia di immigrazione irregolare e stiamo valutando quanto intende fare». Messaggio finale: «Al momento opportuno giudicheremo».
Quel medesimo giorno il portavoce di Barrot, rinunciando all’understatement che comincia a caratterizzare la Commissione ogni volta che si tratta di dire qualcosa di sgradito alle capitali, ribadiva che «il principio del non respingimento è scritto nel diritto internazionale». Pertanto, «non si possono respingere persone in Paesi dove rischiano di essere torturate o maltrattate». Lo stesso funzionario ribadiva che «la scelta di introdurre o meno il crimine di immigrazione clandestina spetta agli stati in quanto parte della sfera del diritto penale».
La lettera inviata al governo non entra nei dettagli. In essa si chiede genericamente come, quando e perché si ritiene che sia giusto rispedire a destinazione i natanti clandestini del canale di Sicilia. Quanto al resto del Pacchetto, Bruxelles vorrebbe essere rassicurata su diversi punti, come l’iscrizione all’anagrafe dei figli di clandestini (c’è chi sostiene che diventano impossibili); le garanzie che il reato di immigrazione clandestina non verrà applicato ai comunitari; l’aumento dei costi per ottenere il permesso di soggiorno; la raccolta dei dati sui trasferimenti di fondi da parte degli immigrationda lettera potrebbe essere pronta a partire, anche se nessuno conferma. La Commissione, dopo le recenti polemiche con Roma, sembra aver rafforzato la già proverbiale cautela comunicativa.
La Stampa, 21 luglio 2009