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“Cultura miope”, di Walter Veltroni

La cultura è spirito, emozione, nutrimento dell’anima. La cultura, come disse André Malraux, «è ciò che fa dell’uomo qualcosa di diverso da un accidente dell’universo». Può sembrare brutto parlarne riferendosi a cifre e a denaro, ma a volte è indispensabile. Il fatto è che queste cifre dovrebbero avere, per acquisire una qualche nobiltà, il segno «più» davanti, e non, come avviene con questo governo, il segno «meno».
È così per il Fondo Unico dello Spettacolo: meno 378 milioni di euro stanziati per il 2009 contro i 567 previsti in precedenza, meno 550 milioni nel prossimo triennio, 200 mila persone che non sanno cosa ne sarà del loro lavoro. Un giovane e bravo regista come Paolo Sorrentino lo ha detto bene: «la giusta reazione alla diminuzione dei consumi culturali dovrebbe essere quella di aumentare i fondi alla cultura e non di tagliarli ulteriormente».
Già, in un Paese civile e attento al proprio futuro dovrebbe essere così. Quando ero Ministro dei Beni culturali, nonostante fossimo impegnati in uno straordinario sforzo di risanamento finanziario per l’ingresso nell’Euro, non diminuimmo ma aumentammo le risorse per il FUS, e altrettanto fecero dopo i ministri Melandri e Rutelli. È una questione di scelte, di priorità. Oggi, solo per fare un esempio, film come Il Divo o Gomorra non si potrebbero più produrre.
La verità è una sola: questo governo, al contrario di quanto si fa in Francia, in Spagna o in Germania, non vuole investire nella cultura, non la considera una risorsa ma uno spreco, un bene superfluo e improduttivo. Come la scuola, l’università e la ricerca. E quindi procede in modo perversamente coerente: volgendole le spalle, tagliando, chiudendo e svendendo. Ad essere colpiti da tanta miopia sono persone e cose. Ad essere mortificati sono il talento e la creatività dei nostri artisti, dei giovani che vogliono provare a diventarlo, delle ragazze che non pensano che il successo e le soddisfazioni, nella vita si raggiungano diventando delle «veline» o mettendosi in mostra di fronte a una telecamera accesa ventiquattro ore su ventiquattro.
A restare spenti e abbandonati, se si tolgono risorse alla cultura, sono i palcoscenici e le sale dove ammirare e ascoltare arte, sono le luci delle nostre piazze, sono le bellezze che ci hanno lasciato le generazioni precedenti. Ad essere impoverita, alla fine, sarà la nostra stessa identità. È una parola forte, da usare con parsimonia, ma quello che sta accadendo rischia di tramutarsi in un vero e proprio «genocidio» della cultura italiana. Viene da credere, di fronte a tante scelte sbagliate e a tanta colpevole inerzia, che in questo Paese si voglia soffocare ogni tipo di coscienza critica. Forse si preferirebbe davvero una società poco pensante, assopita, assuefatta e pronta ad accettare passivamente tutto.
Ma senza coscienza critica e senza cultura, anche solo con meno cultura, il nostro Paese diventerà silente, perderà la sua vera anima, non avrà la capacità di immaginare e creare più nulla di nuovo. Chi ha voce e forza per tentare di impedire questo declino ha il dovere, ha la responsabilità, di fare la sua parte, prima che la strada imboccata diventi senza possibilità di ritorno.

L’Unità, 21 luglio 2009

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