La riforma elettorale non c’è ancora. Ma l’accordo su quale debba essere c’è. La fine di questa storia ci sarà quando il Parlamento avrà varato il testo e il presidente della Repubblica lo avrà promulgato. Sono passaggi delicati e non scontati. Ma quello che comincia oggi in commissione Affari costituzionali della Camera è un processo che ha buone chance di arrivare a una conclusione positiva.
Ha buone chance perché Pd e Fi, ma è il caso di dire Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, condividono lo stesso obiettivo. Entrambi si sono schierati fermamente a favore del bipolarismo e della democrazia della alternanza. Chi temeva che un Berlusconi indebolito volesse puntare a una riforma non maggioritaria sfruttando la decisione della Consulta che ha reintrodotto un sistema proporzionale si deve ricredere.
Con il nuovo sistema elettorale saranno i cittadini a decidere chi debba governare. Le elezioni saranno, come diceva Popper, «il giorno del giudizio» su chi ha governato e su chi si candida a governare. Le coalizioni dovranno formarsi prima del voto, e non dopo. E spetterà agli elettori valutare la qualità e la credibilità delle alleanze proposte dai partiti. In questa prospettiva il nuovo sistema elettorale si colloca nell’alveo dei sistemi che hanno caratterizzato la Seconda Repubblica.
Fa parte di quel “modello italiano di governo” inaugurato dalla legge sui sindaci nel 1993. La novità sta nel fatto che non è stato imposto da un referendum come la legge Mattarella e non è il frutto di una decisione di maggioranza come la legge Calderoli nel 2005, ma è il risultato dell’iniziativa condivisa di larga parte della classe politica. Come tutti i sistemi elettorali della Seconda Repubblica è un sistema misto, che ricalca in larga misura la terza proposta di Renzi, quella che impropriamente viene indicata come il “sindaco d’Italia” e che in realtà è un doppio turno di lista.
Premio di maggioranza e doppio turno. Questi sono gli elementi centrali del nuovo sistema. La loro combinazione rende il sistema majority assuring, cioè garantisce che le elezioni diano al vincitore – partito singolo o coalizione – la maggioranza assoluta dei seggi. Chi ottiene un voto più degli altri incasserà un premio di maggioranza del 18% se arriverà al 35% dei voti. Se nessuno arriverà a questa soglia le due formazioni più votate si sfideranno in un ballottaggio. Il vincitore avrà diritto alla Camera al 53% dei 617 seggi in palio (327). Nessuno ne potrà avere più del 55% (340) grazie al premio.
Quindi l’esito del voto si collocherà tra questi due valori a meno che una lista non conquisti da sola più del 55% dei seggi. Con la soglia e un premio non più illimitato la Consulta è accontentata. Fino all’ultimo non era previsto che ci fosse un doppio turno. Berlusconi lo ha accettato perché la soglia per far scattare il premio è bassa. Con il 35% il centro-destra ha la possibilità di vincere le elezioni in un turno solo senza quindi dover rischiare una sconfitta al ballottaggio per via della pigrizia dei suoi elettori. È la soglia che differenzia questo modello da quello proposto tempo fa sulle pagine di questo giornale.
Il Senato. Il sistema elettorale è identico a quello della Camera. Finalmente sparisce la lotteria dei 17 premi regionali. Infatti anche in questo ramo del Parlamento il premio sarà nazionale. Era ora. La sentenza della Consulta in questo caso ha aiutato. Questa modifica non annulla il rischio di maggioranze diverse tra le due camere, ma lo riduce sensibilmente.
Con il fatto che i diciottenni non possono votare al Senato il rischio resta. Verrà definitivamente eliminato con la radicale trasformazione del Senato prevista dal pacchetto di riforme di cui il nuovo sistema elettorale è una parte. Alle prossime elezioni si voterà per una camera sola. Salvo sorprese.
Formula elettorale e soglie. A parte i seggi del premio gli altri verranno assegnati con formula proporzionale a livello nazionale. Non a tutti però. Per avere seggi i partiti che scelgono di far parte di una coalizione devono superare la soglia “tedesca” del 5%. Era il 2% nel vecchio sistema. Per chi sta fuori dalle coalizioni la soglia è dell’8%. Ma per poter utilizzare la soglia più bassa del 5% occorre che la coalizione arrivi al 12 %.
In caso contrario è come se la coalizione non esistesse. Questo sistema di soglie serve a scoraggiare tentazioni terzopoliste. Questo è il prezzo che i piccoli partiti devono pagare. Sopravvivono, ma solo se accettano di allearsi prima del voto con i grandi. Per la Lega è prevista una clausola di salvaguardia che le consentirà di sopravvivere nei suoi territori anche nel caso in cui non arrivi al 5 % a livello nazionale.
Liste bloccate. Non ci sono né i collegi uninominali né il voto di preferenza. Restano le liste bloccate ma saranno corte e i nomi dei candidati saranno visibili sulla scheda elettorale. Sulla lista bloccata si è fatta tanta retorica. La realtà è che sono solo uno strumento. Non sono il male assoluto. Se usate bene, i risultati sono positivi. È grazie alle liste bloccate che oggi nel nostro Parlamento siedono più donne che in quello tedesco o francese.
Queste sono le caratteristiche essenziali del sistema elettorale presentato alle Camere. Non è il migliore dei sistemi. È il punto di incontro tra i desideri e la realtà. Chi scrive ha collaborato sul piano tecnico a questa riforma. Avrebbe preferito un sistema con i collegi uninominali maggioritari e il doppio turno. In questo modello c’è il doppio turno ma non ci sono i collegi. Però è un sistema che può funzionare bene.
Ma le regole elettorali – lo abbiano detto tante volte – non sono una bacchetta magica. Le buone regole sono una condizione necessaria del buon governo. Ma non sono una condizione sufficiente. Per il buon governo ci vuol la buona politica. È questa la prossima scommessa.
Il SOle 24 Ore 21.01.14