Svegliarsi e trovare tre bottiglie molotov con tanto di innesco davanti alla porta di casa. Portare il cane a spasso ed essere filmati, trovare il proprio indirizzo, il numero di telefono e le foto della moglie sui siti più oltranzisti. Si vive così nella Torino che da anni deve confrontarsi con la protesta No Tav. Dalle passeggiate alle reti si è arrivati nel tempo agli attacchi con bottiglie incendiare al cantiere, alle minacce ai sindaci della Val di Susa favorevoli all’Alta Velocità e agli attacchi alle imprese che lavorano al progetto. Ieri gli ultimi atti di questa nuova offensiva.
È mattina presto quando il senatore Stefano Esposito, da sempre in prima linea nel denunciare le violenze in Val di Susa, sente bussare alla sua porta. «Ha aperto mia moglie — ricorda — Era il mio vicino, mi ha mostrato tre bottiglie molotov sul pianerottolo». Nella cassetta delle lettere c’è un biglietto minaccioso: «Caselli è andato in pensione, Bersani in rianimazione. I tuoi amichetti sono quindi fuori gioco. Chiamparino non tornerà. Ora tocca a te ritirarti oppure fare bum bum, tornatene in prefettura la scorta non ti può proteggere». In più c’è un post scriptum: «Tu e il tuo amichetto Numa eravate proprio belli seduti sulla panchina ai giardinetti».
È la prova che Esposito, che da otto mesi vive sotto scorta, è costantemente pedinato. Come Massimo Numa, giornalista de La Stampa bersaglio da anni della rabbia No Tav a cui nell’ottobre scorso è arrivato un micidiale pacco bomba e che ora ha scoperto di essere stato filmato e seguito a partire dall’estate 2011. Il video arriva in giornata alle redazioni e finisce su Indymedia. Per gli investigatori della Digos è la prova di un progetto per un attentato al giornalista poi improvvisamente tramontato. Esposito è provato dall’ennesima intimidazione. Dice: «Non vivo da solo, ho moglie e tre figli tra cui una bimba di appena tre mesi. Non so se voglio continuare a vivere così». È a lui che, dall’ospedale di Parma, Pier Luigi Bersani manda il suo primo messaggio da quando è ricoverato: un attestato di solidarietà e un abbraccio.
Nel frattempo il tribunale della Libertà conferma le accuse contro Claudio Alberto, Niccolo Lasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi, quattro No Tav arrestati per aver partecipato ad un assalto al cantiere di Chiomonte dove si è fatto largo uso di bottiglie molotov e soprattutto avalla la tesi dei pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino che si tratta non di semplice violenza ma di atti di terrorismo. I No Tav anticipano la sentenza resa pubblica alle 13. Qualche ora prima dodici bagni del palazzo di giustizia vengono “sabotati”: gli scarichi bloccati con polistirolo e matite, tutto allagato. Alcuni sono vicini agli uffici del pm Rinaudo e dei giudici che si sono occupati delle violenze legate all’Alta Velocità. L’attentato ha una rivendicazione precisa: in ogni bagno allagato è stato lasciato un adesivo con la scritta No Tav e lo slogan: “Terrorista è chi militarizza la valle”. Intanto due pm interrogano un valsusino che con il nome di Oskar Wolf ha minacciato di morte su Facebook i sindaci di Susa e Chiomonte favorevoli alla Tav. Delle Brigate Rosse dice: «Erano un’associazione che si batteva per il bene nel mondo».
La Repubblica 14.01.14