La nostra immensa ricchezza è anche il nostro principale ostacolo alla crescita. (da “Più uguali, più ricchi” di Yoram Gutgeld – Rizzoli, 2013 – pag. 185). Siamo passati da un anno all’altro nel segno dell’austerità, con il numero dei poveri che raddoppia e quello dei disoccupati che continua ad aumentare. Ma non riusciamo ancora a valorizzare adeguatamente la nostra principale ricchezza nazionale: la bellezza dell’ambiente e della natura, delle città e dei paesaggi, dei beni artistici e culturali. È come se l’Italia disponesse di un immenso giacimento d’oro e non fosse capace di sfruttarlo a pieno, come dimostrano anche i casi recenti dell’isola di Budelli (Sardegna) e della Reggia di Carditello (Caserta) acquistate nei giorni scorsi dallo Stato.
Può darsi, come suggerisce l’autore del libro citato all’inizio, che tutto questo dipenda dal paradosso che la nostra ricchezza è eccessiva, che possediamo cioè troppi beni da conservare e tutelare. E perciò, le risorse economiche e umane a disposizione non bastano mai. Oppure, questa dissipazione deriva dal fatto che non abbiamo la piena consapevolezza del patrimonio di cui siamo dotati. O ancora, dalla nostra incapacità di organizzare un sistema turistico e culturale integrato e quindi di comunicarlo in modo più moderno ed efficace.
Fatto sta che l’Italia ha il più alto numero al mondo di siti classificati dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, 49 contro i 38 dei francesi, ma riceviamo 44 milioni di stranieri all’anno: poco più della metà di quanti visitano la Francia. Eppure, il turismo resta un settore fondamentale per la nostra economia, con un fatturato complessivo di 130 miliardi di euro, pari a circa il 9% del Prodotto interno lordo. E ciò significa che in questo comparto lavora un italiano su dieci.
Ma — come scrive nel suo saggio Yoram Gutgeld, israeliano, già socio e partner della McKinsey, oggi deputato del Pd e consigliere economico di Matteo Renzi — «un numero quasi illimitato di attrazioni da promuovere rende quasi impossibile riuscire a sostenerle complessivamente e a fornire a esse infrastrutture inadeguate». Da qui, appunto, la necessità di «fissare delle priorità e fare delle scelte». Contro l’immobilismo dominante, occorre dunque una “regia nazionale” che la riforma del Titolo V della Costituzione introdotta a suo tempo dal centrosinistra, avendo delegato alle Regioni la responsabilità esclusiva in materia di turismo, oggi di fatto impedisce.
Bisognerebbe cominciare magari a riorganizzare la rete delle Soprintendenze artistiche e archeologiche che troppo spesso diventano fattori di conservazione e protezionismo in senso stretto: cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo e dell’economia. O anche, in alcuni casi, centri di potere personale pressoché assoluto. La Penisola è piena purtroppo di sfregi alla sua bellezza, al suo patrimonio e al suo paesaggio; ma anche di opere bloccate o incompiute, a causa di ritardi, pastoie e lungaggini burocratiche.
Nella sua favola intitolata “Il sonno del Reame” (Oscar Mondadori), Annarosa Mattei racconta a questo proposito lo scontro tra potere e cultura che negli ultimi anni ha provocato la deriva “economicistica” del sistema di tutela del patrimonio storico e artistico, l’impoverimento di ogni forma del sapere e la conseguente espulsione degli operatori più esperti e qualificati. È una suggestiva allegoria su un’Italia immemore e incolta, dominata dall’assolutismo di un Principe che non tollera il libero pensiero.
Sarebbe fuori luogo azzardare qui analogie o paragoni con i protagonisti della storia nazionale più recente. Ma, tra le righe del romanzo, si legge in controluce la parabola del degrado e della desertificazione culturale che avviliscono il nostro Paese, sotto l’effetto narcotizzante di un’omologazione televisiva al ribasso sul modello della tv commerciale. Anche questo è un “sonno” della ragione e della memoria, di cui è rimasto vittima il popolo italiano.
Soltanto la riscoperta della bellezza, intesa come qualità e risorsa collettiva, può invertire la tendenza per risalire la china. Non ci sarà ripresa in Italia, né economica né sociale, se non si partirà proprio dalla cultura; da quel grande patrimonio d’arte, musica e letteratura che integra e arricchisce il nostro patrimonio naturale, paesaggistico, turistico. E nonostante tutto, fa del Belpaese un “unicum” al mondo.
La Repubblica 11.01.14