Dieudonné M’Bala M’Bala è un famoso comico francese, ma soprattutto è un orribile antisemita che sparge scientemente odio contro gli ebrei. Ora le autorità francesi vogliono chiudere i suoi spettacoli. Ma la discussione non verte su quanto sia spregevole uno che si vanta di «aver strappato dal libro di storia di mia figlia le pagine sull’Olocausto». Le domande sono altre: è giusto invocare la mannaia della censura sugli spettacoli di un odiatore degli ebrei?
Ed è utile, oppure è addirittura dannoso e controproducente? Purtroppo la risposta è no: non è giusto, ed è forse disastrosamente inutile.
Dieudonné non è semplicemente un neonazista vecchio stampo, idolo di poche bande di teste rasate e vuote che si rifanno esplicitamente alle forsennatezze antiebraiche del regime hitleriano. No, il suo islamo-nazismo fa breccia nelle periferie metropolitane di una Francia rancorosa e sull’orlo di una rivolta permanente contro «l’ordine costituito» e che viene solleticata nel suo odio verso gli ebrei «ricchi» e «succhiasangue». Dieudonné è alla moda. E la cosa triste è che sia «di moda», vezzeggiato, considerato un bravo comico, un trascinante uomo di spettacolo che trasforma il palcoscenico in una rappresentazione truculenta dei pregiudizi antiebraici. In questi giorni si parla di lui perché un calciatore dai piedi buoni e dal cervello annebbiato come Anelka ha esultato dopo un gol facendo il gestaccio coniato da Dieudonné, la «quenelle», un saluto nazista con il braccio all’ingiù e che fa sbellicare dalle risate gli spettatori del comico. Ma qualcuno, come ha ricordato Giulio Meotti sul Foglio , lo aveva ribattezzato «il Malcolm X francese».
Ammicca alla destra nazistoide ma insieme al ribollente mondo dei musulmani che non disdegnano la guerra santa contro l’Occidente corrotto e opulento da abbattere e al conformismo «progressista» di sinistra, che copre con la coperta accettabile dell’«antisionismo» e dell’«anti-imperialismo» filo-palestinese e terzomondista pulsioni antiche giudeofobiche di una Francia che si contaminò in forme massicce con il collaborazionismo durante l’occupazione tedesca.
Si rivolge a destra quando invita sul palco uno dei suoi migliori amici, il principe dei «negazionisti» Robert Faurisson e lo fa premiare da un finto deportato con la stella gialla, ma viene perdonato da una parte della sinistra per queste sue esibizioni vomitevoli.
E’ utile censurarlo? Certo è difficile resistere alla tentazione censoria quando Dieudonné fa venire giù il teatro tra gli sghignazzi urlando «con la bandiera israeliana mi ci pulisco il culo», quando si rivolge a un giornalista ebreo con «ti sei visto in faccia, sembri un dromedario», quando invoca la camera a gas per il giornalista Patrick Cohen. Ma se non si può non stare a fianco di Serge Klarsfeld, che con la mitezza dell’infaticabile cacciatore di criminali nazisti ha detto che andrà davanti ai teatri di Dieudonné per protestare contro i deliri antisemiti di un comico che alterna le sue sparate anti-americane con il ghigno antisionista, bisogna tener duro, non offrire un’immagine martirologica di chi ama santificarsi come una «vittima del sistema». La censura creerebbe più seguaci, più giovani delle periferie disposti a bersi ogni nefandezza di un comico che ulula contro gli ebrei. I suoi discorsi antisionisti circolerebbero in versione clandestina, con il fascino sulfureo del proibito, regalerebbero addirittura credibilità a un uomo che fa dell’ignoranza la sua bandiera e che grida alla rivolta contro la cultura e la civiltà che conosciamo.
Dunque, la censura sarebbe controproducente. Ma anche ingiusta, contraria a dei princìpi liberali che non dovrebbero mai venir meno. L’immagine dello storico negazionista David Irving in cella a Vienna per aver negato l’esistenza delle camere a gas è l’antitesi della tolleranza.
Le leggi che in Europa (e che si vorrebbe estendere in Italia) fanno del «negazionismo» un reato rappresentano la cancellazione pericolosa di un principio fondamentale come quello della libertà d’opinione. Quando nella Francia dei primi anni Ottanta si scatenò l’ondata «storiografica» volta a negare la Shoah e la stessa esistenza delle camere a gas («la menzogna di Auschwitz», la definivano senza vergogna), lo storico Pierre Vidal-Naquet, entrambi i genitori trucidati nei campi di sterminio hitleriani, si rifiutò di accodarsi alla campagna per mettere fuori legge i manipolatori della storia e in un libro destinato a diventare una delle opere più belle e toccanti della storia politica del Ventesimo secolo, «Gli assassini della memoria», sottotitolo «Un Eichmann di carta», demolì punto per punto le falsificazioni, le scempiaggini, le distorsioni spacciate come verità dagli storici nazisti.
Ecco, non la censura, ma una guerra culturale intransigente come quella di Klarsfeld e di Vidal-Naquet può essere un antidoto per contrastare i ruggiti antisemiti di Dieudonné (e quelli che rimbalzano in Italia). E invece in questi anni in Francia l’accondiscendenza e la paura hanno impedito di vedere che un giovane ebreo, Ilan Halimi, è stato sequestrato e ucciso mentre la polizia si è affannata a minimizzarne le motivazioni antisemite e persino per il massacro della famiglia ebrea di Tolosa si è tentato di ridimensionarne la portata, attribuendo la strage a un pazzo isolato. Invece il veleno antisemita sta producendo effetti devastanti in Francia e non solo in Francia, in un orrendo miscuglio culturale fronteggiato con poche forze. Ora la censura, un rimedio che aggrava il male e lo rende persino fascinoso. Un’altra sconfitta per le democrazie liberali.
Il Corriere della Sera 08.01.14
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