White list e protocollo di legalità sono gli strumenti di prevenzione del rischio di infiltrazione criminale che lo Stato si è dato a tutela delle grandi opere e degli appalti pubblici. Ma le White list, a cui le imprese possono iscriversi volontariamente, sono state un flop (l’Unità del 4 gennaio). Ma cosa succede nelle situazioni di grande importanza e delicatezza come il grande progetto Pompei, con i 105 milioni resi disponibili dall’ Europa? A Pompei, dove si sarebbero dovuti spendere 50 milioni per la fine del 2013, è stallo, sostengono il segretario regionale della Fillea Giovanni Sannino e la stampa locale. Non solo per la fatica che gli strumenti per il rispetto della legalità fanno a mettersi in movimento. Le imprese napoletane non hanno ritenuto appetibile l’opportunità di costituire White list che, aggiornate di anno in anno, dovrebbero rendere più agevole l’affidamento dei lavori, senza il rischio di una interdittiva antimafia che arriva quando i lavori sono avviati. Sul progetto Pompei pesa anche il cambio di governance: escono il prefetto Fernando Guida e la soprintendente Teresa Cinquantaquattro, si separano le soprintendenze archeologi- che di Napoli e Pompei, entrano – ma il passaggio di consegne non è ancora avvenuto – il generale Giovanni Nistri e l’alto dirigente del Mibac Fabrizio Magani. Lo stallo, però, rischia di gettare discredito sugli stessi strumenti anti-camorra. Il protocollo di legalità in vigore dal 2012 prevede la partecipazione del sindacato per un solo aspetto, quello previsto dall’articolo 11, che riguarda i flussi di manodopera. «Ci sono state solo due riunioni – racconta Sannino – la prima si è conclusa con un nulla di fatto, nella seconda è stato assunto l’impegno a non fare gare al massimo ribasso». D’ora in poi, perché nelle cinque gare espletate finora, tre cantierate e due ancora da cantierare, i vincitori hanno ottenuto il lavoro con ribassi superiori al 50%.
Il rischio più grande è che la lentezza si trasformi in un boomerang addossato ai controlli di legalità oppure che le istituzioni non si sentano sufficientemente serene rispetto all’assalto della camorra. Anche perché, come ha scritto Luca Del Fra su l’Unità, il grande business non è tanto nell’area archeologica propriamente detta, dove operano imprese storiche e specializzate, quanto nel “buffet”: accessi, alberghi, infrastrutture da Torre Annunziata a Ercolano, da Napoli a Salerno. I costruttori napoletani hanno presentato progetti da 350 milioni di euro con soli finanziamenti privati. Un master plan che fa il paio con quello di riqualificazione della zona delle raffinerie (300 milioni). «A Napoli – ragiona Sannino – sono due i soggetti che hanno soldi da investire, i padroni (costruttori, finanzieri) e la camorra. Con la crisi tante imprese sane sono state soppiantate da quelle che vivono di usura. Il rischio di inquinamento è serio, come è avvenuto con la vendita della ex partecipata dei trasporti di Caserta. Ma l’immobilismo delle amministrazioni non è una risposta. Ci deve essere massima attenzione alla legalità ma l’economia deve ripartire».
L’Unità 05.01.14