Chi di “web” ferisce, di “web” perisce. E le regole della società mediatica sono spesso crudeli per coloro che credono di maneggiarle in esclusiva. Dopo i reiterati inviti al boicottaggio, il messaggio di San Silvestro del capo dello Stato ha ottenuto un indice di ascolto mai così alto. Segno che gli italiani avevano bisogno di sentire la voce delle istituzioni, mentre non erano altrettanto interessati ad assecondare certe iniziative goliardiche. È una piccola lezione per l’opposizione anti-sistema, chiamiamola così: quel variegato mondo che in Grillo ha ormai il suo vero punto di riferimento, ma raccoglie in ordine sparso anche berlusconiani intransigenti e leghisti. Una singolare coalizione che si è data come missione la definitiva messa in crisi delle istituzioni, a cominciare dalla presidenza della Repubblica, ma che l’altra sera ha subito una sconfitta piuttosto evidente. Napolitano ha trovato il tono giusto per parlare agli italiani, riconoscendo loro doti di coraggio, tenacia e sopportazione che costituiscono la vera carta su cui investire per risalire dall’abisso. Il presidente ha indicato un percorso privo di scorciatoie, ma di cui s’intravede l’approdo se le forze politiche si dimostreranno per una volta all’altezza delle loro responsabilità verso la comunità nazionale. Viceversa gli assedianti, coloro che puntavano al boicottaggio e perseguono solo la destabilizzazione, hanno da proporre poco o nulla. Un caos creativo, si potrebbe dire, una sorta di “tutti a casa” senza che nessuno senta il dovere di indicare in concreto cosa accadrebbe dopo alla società, all’economia, forse anche alla democrazia.
Sta di fatto che prima di arrendersi c’è da esplorare fino in fondo la strada delle riforme. Questo ha voluto dire il capo dello Stato nel momento in cui ha respinto con determinazione le manovre di chi tenta di intimidirlo. E quell’accenno, peraltro non nuovo, alla volontà di non restare a lungo al Quirinale non è un atto di debolezza, bensì un modo per rigettare con più forza le pressioni, sollecitando al tempo stesso i partiti ad agire. Perché questo era l’impegno assunto dal Parlamento quando, otto mesi fa, rielesse un recalcitrante Napolitano.
Il sottinteso di quel passaggio eccezionale era che si sarebbe subito avviato il progetto riformatore. Così non è stato. E ora è rimasto poco tempo per mettere da parte la rissosità inconcludente e porre mano al rinnovamento delle istituzioni. Si tratta semplicemente di “avviarlo”, tale processo, cioè definirlo nelle sue linee guida, insieme al varo di una decente legge elettorale.
Anche sotto questo profilo il discorso di Napolitano è apparso innovativo. Non è un caso che Matteo Renzi ci abbia letto un sostegno alla sua linea riformatrice. Vedremo nei prossimi giorni. Non ci sarà da attendere molto, visto che il primo e cruciale impegno nel nuovo anno sarà proprio il tentativo di mettere a punto un nuovo (e si spera non solo retorico) patto di programma all’interno della coalizione guidata da Letta. Un altro anno perso sarebbe davvero troppo: un lusso che come italiani non possiamo più permetterci. D’altra parte, è difficile credere che in dodici mesi colmeremo tutti i ritardi e completeremo un percorso di rinascita politica e istituzionale che di fatto non è nemmeno cominciato. Quello che conta è fare i primi passi, dare all’opinione pubblica il senso di una svolta, di un reale cambiamento. Ne deriva che la riscrittura del patto di governo non pu ò essere solo uno stanco rituale politico, come è accaduto troppe volte in passato. Questa volta dovrà offrire risultati concreti sul piano degli impegni economici e istituzionali, risultati che siano percepibili dall’opinione pubblica in tempi brevi. È il terreno su cui saranno messi alla prova sia Letta sia Renzi. Entrambi chiusi nel “cliché” degli irriducibili rivali, ma in realtà legati da un interesse convergente. Il primo, il premier, ha l’occasione di compiere il salto di qualità indispensabile per restituire agli italiani quella speranza che il suo governo non sempre ha saputo alimentare. Il secondo, il giovane neo segretario del Pd, ha l’opportunità di dimostrare la sua stoffa di uomo politico, se non ancora di statista.
È quasi stucchevole ripetere che le riforme, sempre invocate e mai attuate, sono la priorità assoluta dell’anno che si apre. Le riforme, non una corsa al buio verso elezioni anticipate che al momento non si sa nemmeno con quale modello legislativo dovrebbero svolgersi. In fondo la contesa del 2014 è fra un riformismo concreto, capace di trasmettere al Paese qualche certezza e chi il sistema vuole abbatterlo. Renzi sembra schierato senza esitazioni (certo, con il suo carattere impetuoso e non esente da errori) dalla parte dei riformisti. Non è poco. Oggi c’è la possibilità di restituire alla politica la sua identità qualificante: ossia la capacità di decidere, di compiere scelte di fondo. In un Paese paralizzato quasi ad ogni livello questa sarebbe la vera rivoluzione dell’anno appena iniziato.
Il Sole 24 Ore 02.01.13