Da due giorni all’ospedale Georges Pompidou di Parigi un uomo vive con un cuore artificiale totalmente autonomo. Il direttore dell’azienda che ha costruito questo dispositivo d’avanguardia è italiano: Marcello Conviti. L’azienda invece è francese. Fondata nel 2008, si chiama Carmat. È nata da un investimento del gruppo industriale Matra Defence e dalle idee di Alain Carpentier, cardiochirurgo oggi ottantenne, con una laurea «honoris causa» all’Università di Pavia.
Bastano questi pochi dati per concludere che gli italiani sanno padroneggiare tecnologie avanzate e i francesi sanno finanziarle. Di conseguenza gli italiani in gamba vanno dove ci sono i finanziamenti. Cioè all’estero.
Un cuore artificiale totalmente autonomo e impiantabile non si improvvisa. Carpentier ci lavorava da decenni. Chi ha una certa età ricorda che negli Anni 50 un cuore artificiale incominciarono a svilupparlo a Torino anche Achille Mario Dogliotti e un giovane ingegnere del Politecnico. I tempi non erano maturi, materiali biocompatibili e microelettronica erano di là da venire. Però l’idea c’era.
Neppure l’industria è del tutto latitante: a Saluggia abbiamo la Sorin Biomedica Cardio, specializzata in valvole cardiache e stent coronarici. Quanto a Matra, è una potenza economica e tecnologica, ma non è infallibile: era suo il software bacato che fece esplodere il primo razzo «Ariane 5» quaranta secondi dopo il lancio da Kourou nel 1996.
Insomma, se non siamo peggio degli altri, e forse in qualche caso siamo persino meglio, cos’è che non funziona?
La risposta è che non funziona il sistema paese. I cervelli sono essenziali, senza creatività domestica non resta che comprare brevetti stranieri: e la nostra creatività scientifica di solito non è domestica perché è costretta a emigrare. In secondo luogo un’azienda ha bisogno di finanziamenti. La Carmat sorge nel 2008 mentre si annunciava la crisi finanziaria mondiale; in Italia il credito si arroccava nei forzieri delle banche, dove rimane. Ancora: un’azienda funziona se ha a disposizione la banda larga, servizi efficienti, ricerca di base pubblica, una giustizia veloce. Tutte cose che qui scarseggiano. Sarà un caso, ma alla Sorin è ancora aperta una vicenda giudiziaria che ha origine da questioni finanziarie datate 2003. C’è infine un altro parallelismo inquietante: Matra è una grande azienda spaziale, noi avevamo l’Alenia, che ora non è più italiana se non in parte ed è controllata dalla multinazionale francese Thales. Curiosa simmetria.
Un giovane con dottorato di ricerca costa mezzo milione di euro. Quando se ne va all’estero, oltre alla fuga del cervello c’è la fuga di un capitale. Queste sono le cose alle quali Letta, Renzi e il ministro Maria Chiara Carrozza dovrebbero mettere mano, appena Brunetta e Casaleggio li lasceranno lavorare.
Non bisogna però esagerare con i piagnistei. In certi casi non servono soldi, bastano le buone idee. I russi Geim e Novoselov con una matita e un po’ di nastro adesivo hanno trovato il grafene, materiale dalle proprietà rivoluzionarie, e nel 2010 hanno vinto il Nobel per la fisica. Una storia simile me l’ha segnalata qualche mese fa Giovanni Appendino, professore di chimica all’Università del Piemonte Orientale: un gruppo di ricercatori (non italiani) ha scoperto che il velo lasciato dal tè verde sulla tazza contiene polifenoli dall’adesività eccezionale e con mirabili virtù antibatteriche e antiruggine. Se poi il tè verde vi sembra troppo esotico, bene, gli stessi polifenoli ci sono anche nel vino. Non è merce cara.
La Stampa 23.12.13