Dato che si evidenziano spesso i pericoli della scienza, confondendo la ricerca scientifica con le applicazioni cui dà adito, occorre ricordare che la prima in sé consiste, per lo più, in ricerca pura, motivata dall’esigenza di comprendere, mentre sono le applicazioni scientifiche a sollevare, per lo più, effettivi problemi di ordine etico. Certo, alcuni pericoli vengono ben rimarcati dai critici della scienza: c’è chi sostiene che la nostra società sarebbe migliore senza la bomba atomica, chi sottolinea che la scienza conduce in alcuni campi alla disumanizzazione del lavoro, chi incrimina la scienza per il fatto di minacciare la fede religiosa, chi vede nella scienza una manifestazione del solo pensiero occidentale e uno strumento deplorevole della dominio occidentale sulle culture “altre”, chi è convinto che la scienza venga confutata da troppi pregiudizi maschilisti che contiene. Non intendo tentare qui di capire se questi siano demeriti effettivi della scienza, o letture viziate di essa. Anche perché ritengo che ogni individuo colto e ragionevole non abbia difficoltà a riconoscere che la scienza spicca tra le imprese umane. Non è forse la scienza ad aver trasformato in modo radicale la nostra esistenza quotidiana? E non è forse la scienza a modificare costantemente la nostra visione del mondo e di noi stessi, conducendoci a nutrire credenze e ad acquisire conoscenze cui non saremmo altrimenti approdati?
In effetti, la scienza esercita uno straordinario influsso sul nostro quotidiano – basti, per esempio, immaginare a che ne sarebbe di noi senza le tante scoperte e applicazioni scientifiche, su cui facciamo conto in quasi ogni comune attività. Meno banale è, invece, il fatto che nella cultura contemporanea non vi sia altra disciplina prestigiosa e poco controversa quanto la scienza: viene allora spontaneo chiedersi «cos’è la scienza?». Oggi, specie nel nostro paese, è frequente la tendenza a rispondere crudamente: la scienza è «qualcosa» di cui dobbiamo diffidare. Tuttavia, quel «qualcosa» che la risposta contiene, e si rifiuta di precisare, è proprio quanto ci proponiamo di chiarire con «cos’è la scienza?», cosicché la risposta evade la domanda e non possiamo ritenerci soddisfatti da quanto afferma: prima di giungere a diffidare di qualcosa, dobbiamo sapere che cos’è di cui occorre diffidare.
Coloro che sollevano perplessità etiche contro la tecnologia si trovano in una posizione quasi contraddittoria: intendono proibire alcune ricerche scientifiche perché ne temono le future applicazioni tecnologiche e, al contempo, non rinunciano alla maggior parte delle applicazioni passate, che hanno alle loro spalle la scienza e che sono ormai intrinseche al nostro modo di modo di vivere contemporaneo: si pensi (solo per fare alcuni esempi) alle automobili, agli aerei, alle tecnologie audio-visive, al computer, all’elettricità, alla penicillina.
Ancorché ordinaria, la confusione tra scienza e tecnologia, al pari di ogni altra confusione, risulta poco giustificata. Una cosa è, infatti, la conoscenza scientifica, che è conoscenza proposizionale (sapere che una proposizione è vera), un’altra è la conoscenza tecnologica (sapere come fare certe cose). Certo, sussistono connessioni tra questi due tipi di conoscenza. Ma non è legittimo far collassare l’una nell’altra, né sostenere che la scienza si propone il «saper fare», quale principale obiettivo. Per di più, credere che l’obiettivo della ricerca scientifica consista nel saper fare serve solo a coloro che si propongono di arrestare (per ragioni a me incomprensibili, sempre che di ragioni si tratti) il progresso scientifico.
Per quanto risulti arduo negare che la conoscenza scientifica venga utilizzata per scopi tecnologici antitetici occorre aver ben presente che da ciò non segue che la conoscenza scientifica in sé sia eticamente obiettabile. Lo è solo l’impiego che la società fa di tale conoscenza. La domanda allora è: nell’ipotesi che occorrano considerazioni di tipo etico nei confronti della tecnologia (o meglio della società che utilizza una certa tecnologia, o che non la utilizza), ha qualche senso applicare l’etica alla scienza? Molti filosofi sostengono che non ha senso, dato che scopo della scienza consiste nel fornirci conoscenza a proposito del mondo fisico. Altra questione è il come la società decida di servirsi di questa conoscenza. Possiamo appellarci all’etica per valutare le decisioni della società (a favore o contro una qualche applicazione tecnologia. Non, però, con lo scopo di sbarrare la strada alla scienza, scienza che è, infatti e per lo più, neutrale rispetto alla sfera dei valori. Altri filosofi la pensano diversamente. Contro la neutralità oppongono ovvie constatazioni, la seguente per esempio: dato che i medesimi dati scientifici risultano spiegabili in diversi modi, le scelte teoriche degli scienziati non sono determinate solo dai dati, bensì anche da influenze politiche, interessi economici e morali, fedi religiose, aspirazioni personali. Per questi filosofi la scienza è «carica di valori» e che, come tale, deve chiamare in causa l’etica.
Da parte mia, ritengo che occorra isolare la scienza dalle influenze politiche, economiche, morali, religiose e personali. E che questo possa avvenire tenendo salda la classica distinzione tra «contesto della scoperta» e «contesto della giustificazione»: cioè tra il modo in cui si giunge di fatto a una scoperta scientifica e il modo in cui si dovrebbe giungere ad essa. A livello di contesto della scoperta, quando lo scienziato seleziona problemi e genera ipotesi, accade che alcune influenze culturali giochino un ruolo più o meno rilevante. Esse però vengono a cadere al momento della giustificazione, ove a contare sono i metodi scientifici e le verifiche empiriche. Dato che è a livello della giustificazione, non della scoperta, che è lecito parlare di scienza, quest’ultima risulta allora impregnata di valori (non conoscitivi) solo in un senso assai debole, non rilevante. Rimangono i fatti del mondo fisico. Fatti che non sono né giusti, né sbagliati, né etici, né antietici, e che la scienza continua a consentirci di conoscere. Permettendoci così (non è poco) di realizzare pienamente la nostra natura umana: «Tutti gli esseri umani aspirano per natura al sapere», afferma Aristotele.
*Professore Ordinario di Filosofia Teoretica
L’UNità 09.12.13