Continuiamo a costruire, e a votare i politici che ce lo fanno fare. Se costruisco una casa sul greto di un fiume, violando non soltanto le leggi ma anche il buonsenso, e poi un’inondazione me la porta via, di chi è la colpa? Del muratore che non ha rispettato le regole? Del sindaco che ha chiuso un occhio? Del governo che me l’ha condonata per un pugno di euri? No, la responsabilità è prima di tutto mia, non perché abbia infranto una legge (anche il condono è una legge), Ma perché sono venuto meno al dovere fondamentale su cui si fonda la mia libertà: prendermi cura di me stesso. Per ignoranza o per disperazione, per furbizia o per avidità ho costruito la mia casa in un luogo pericoloso, ho messo a repentaglio la mia incolumità e quella della mia famiglia, e il vantaggio che ne ho tratto non vale la posta in gioco.
La maggior parte delle vittime della terribile alluvione che ha piegato la Sardegna non ha costruito nessuna casa sul greto del fiume (semmai, è morta perché altri hanno costruito altre case, spesso immense), e se anche lo avesse fatto, certo non avrebbe meritato un tale destino. Alle vittime e alle loro famiglie va il cordoglio e la solidarietà di tutti, anche perch é – lo leggiamo sui giornali ogni volta che una tragedia accade – tutta l’Italia è a rischio e il “dissesto idrogeologico” è la condizione strutturale in cui, persino con civetteria, abbiamo scelto di vivere.
Quando una tragedia accade, il rito delle prediche inutili va inesorabilmente in scena: abbiamo distrutto il nostro Bel Paese, abbiamo cementificato le coste e disboscato i colli, abbiamo interrato i fiumi e avvelenato i campi, abbiamo costruito dove non bisognava e anche dove non si poteva… Vero, tragicamente vero: ma anche, alla fin fine, autoconsolatorio, se la conclusione si ferma al capro espiatorio della politica.
Già, perché le sacrosante giaculatorie ambientaliste sfociano inevitabilmente in un’accusa generalizzata alla classe politica locale e nazionale, che sullo sfruttamento selvaggio del territorio e sull’abusivismo criminale ha costruito le proprie fortune. Vero, verissimo: ma chi lo rielegge, il sindaco che da vent’anni rinvia il piano regolatore? E chi lo vota, il governo che ogni cinque anni concede un condono tombale ai suoi graditi sudditi?
Il patto perverso fra politica e cittadini, che in Italia prescinde da quella invenzione non recentissima che negli altri paesi va sotto il nome di Stato, si fonda precisamente su questo equivoco: io politico ti lascio fare quel cavolo che vuoi, e quando posso ti regalo anche un po’ di soldi; tu in cambio mi voti e, se le cose vanno male, puoi persino prendermi a pomodorate, tanto poi si ricomincia: e si ricomincia alla grande, perché dopo ogni tragedia arrivano i quattrini della “ricostruzione”. La deresponsabilizzazione è completa, perfetta, assoluta.
Curiosamente – ma i Greci non se ne sarebbero stupiti affatto – la bruttezza del nostro paesaggio cresce di pari passo con la sua pericolosità: decine di migliaia di villette, capannoni, palazzine, garage e impianti industriali hanno celebrato il trionfo del geometra e dell’alluminio anodizzato nel paese che diede i natali a Brunelleschi. Gran parte di quel cemento, oltreché orribile, è pericoloso: crolla alla prima scossa di terremoto, si allaga quando piove forte, frana col brutto tempo o si scioglie al risveglio del vulcano. Ma noi continuiamo a costruire, e a votare i politici che ce lo fanno fare.
«Dietro questa tragedia ci sono follia, stupidità, ingordigia. È colpa di partiti e speculatori. E in queste ore la giunta regionale sta approvando regole ancora più permissive per chi costruisce»: Renato Soru, l’ex governatore dimessosi in polemica con i partiti che ostacolavano il suo piano paesaggistico regionale, che impediva di costruire vicino a coste e fiumi, ha tutte le ragioni del mondo a lamentarsi. Ma dimentica di dire che quattro anni fa gli elettori sardi gli preferirono Cappellacci.
Il problema, insomma, siamo noi. Noi costruiamo case orribili in posti pericolosi, noi usiamo il paesaggio come una discarica e boicottiamo le discariche che funzionano (possibile che nessun cittadino campano in tutti questi anni non si sia accorto di niente nella famigerata “Terra dei fuochi”?), noi ce ne infischiamo delle leggi perché sappiamo troppo bene chi abbiamo eletto per scriverle e farle rispettare. Comodo, ma ridicolo, prendersela con i “politici”: gli unici che hanno perso il posto, finora, sono quelli che hanno mandato le ruspe.
da Europa Quotidiano 21.11.13