Il corpo femminile ridotto a bene di consumo. La reazione violenta degli uomini alle conquiste di libertà delle donne. Il richiamo ad una rappresentazione “sobria e dignitosa” nei media e nelle pubblicità. Arriva dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il nuovo e severo appello contro il femminicidio e l’abuso dell’immagine femminile, alla vigilia della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ma anche a due giorni dall’ultimo omicidio che porta a oltre cento il bollettino di ragazze, donne e bambine uccise dall’inizio dell’anno in Italia. Assassinate da mariti, amanti, fidanzati, padri. Un richiamo forte, che il presidente della Repubblica invia come videomessaggio alla IX Conferenza internazionale della Comunicazione, organizzata a Milano da Pubblicità Progresso e dal titolo “Il valore della diversità. Verso una nuova cultura di genere”.
Tocca tutti i temi della “violenza” sul corpo delle donne Giorgio Napolitano, da quella fisica a quella psicologica. Un’aggressione che muta e si trasforma nell’emarginazione delle donne nel mondo del lavoro, o che sfrutta i loro corpi per pubblicità sessiste, che ancora dominano e trionfano soprattutto in televisione. Così dopo la presidente della Camera Laura Boldrini, che nei mesi scorsi aveva denunciato “lo scandalo” di quegli spot che continuano a raccontare un immaginario femminile fatto di spazzoloni, fornelli, detersivi o nudità ad uso e consumo di maschi e mariti, adesso è Giorgio Napolitano a chiedere che le «donne siano rappresentate con sobrietà e dignità nei media, così come si è impegnata a fare la Rai». Perché, sottolinea il presidente della Repubblica, «è proprio la maggiore eguaglianza conseguita dalle donne sul lavoro e nelle professioni che può suscitare pericolosi atteggiamenti di reazione». Quello che da tempo sostengono i centri antiviolenza. La libertà femminile fa paura.
«Amarezza, indignazione e dolore genera poi il perpetuarsi della violenza sulle donne, così frequente proprio sulle compagne di vita. È bene quindi che il recente provvedimento del governo abbia considerato i legami sentimentali come un’aggravante», dice ancora Napolitano, riferendosi alla (discussa) legge sul femminicidio appena approvata. Ma al di là dei risultati o meno della legge resta da capire se qualcosa sta cambiando. Perché mai come oggi in Italia le istituzioni “alte” hanno deciso di rompere il silenzio su una strage che non accenna a finire. E sugli stereotipi, che condizionano la vita dei bambini fin da piccolissimi. E sulla pubblicità, come ha fatto Laura Boldrini evidenziando l’incongruità di un concorso come Miss Italia. Mentre nei mesi scorsi anche Anna Maria Tarantola, presidente della Rai, aveva chiesto espressamente di «evitare la mercificazione del corpo della donna» nei talk, nelle trasmissioni, nelle fiction.
Ma sul terreno i risultati sono ancora pochi e non si vedono ad occhio nudo. Lo spiega Titti Di Salvo, presidente della rete Dire, che riunisce oltre sessanta centri antiviolenza in Italia. «Sono grata a Napolitano, alla Boldrini, le loro parole ci aiutano. Ma proprio ieri sera, al Tg1, l’omicidio di una donna da parte del suo compagno veniva presentato come raptus di gelosia…Il raptus non esiste, esiste l’omicidio. Finché non cambia la cultura, finché non cambiano le parole, la strage non si fermerà». Ma anche Alberto Contri, che dirige la Fondazione Pubblicità Progresso, ammette che la strada è lunga. «Gli spot non solo altro che la rappresentazione di un immaginario collettivo, che riflette la realtà italiana. Dove le donne non hanno raggiunto la parità, hanno stipendi del 22% più bassi di quelli degli uomini, e il lavoro domestico non è condiviso. Qualcosa è cambiato, ma poco. Infatti la nostra prossima campagna “Punto su di te” sarà basata sulla valorizzazione del ruolo femminile nella società». Aggiunge Contri: «Ogni linguaggio è lecito, e forse si può anche usare la bellezza di una donna per pubblicizzare una crema o un profumo. Ma che senso ha invece un corpo nudo per lo spot di una colla o di un divano? Nessuno, se non colpire la fantasia dei maschi…».
La Repubblica 19.11.13