Economia e Ingegneria pagano prima e meglio delle facoltà umanistiche. Vale per i maschi e per le femmine. Nei primi dodici mesi post università, chi ha in tasca una laurea (e un lavoro) in Economia riesce a guadagnare fino a 10mila euro all’anno in più rispetto ai coetanei che scelgono studi umanistici. Lo stesso anche nel lungo termine, a 15 anni dalla discussione
della tesi. iN questo caso la differenza è di 26mila euro annui, mentre gli ingegneri riescono a guadagnare fino a 25.500 euro in più. Tra chi riesce a trovare lavoro, dunque, sono loro i più remunerati, seguiti dai futuri medici, dai matematici e dai fisici. Non solo. Anche dal punto di vista della parità di genere, a sorpresa, queste lauree offrono maggiore accesso alla professione per le donne, dando prospettive più eque tra i sessi.
A dirlo è una ricerca realizzata da Giovanni Peri (economista e ricercatore all’UC Davis, Università della California) insieme a Massimo Anelli. Uno studio della Fondazione Rodolfo De Benedetti che sarà presentato a Milano — l’11 dicembre alle 9, nell’aula magna dell’università Bocconi — basato su un campione di 30mila studenti diplomati nei licei classici e scientifici milanesi tra il 1985 e il 2005. Nella loro ricerca, gli studiosi sono andati a raccogliere i dati scuola per scuola, facoltà per facoltà, incrociando moltissime informazioni, come quelle sui redditi degli studenti e delle famiglie di provenienza. Ricostruendo nei dettagli un prezioso spaccato sulle modalità d’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
«Una ricerca che per le prima volta mette a confronto i guadagni dei neolaureati a parità di condizioni — spiega Giovanni Peri — con risultati che mettono in dubbio anche alcuni luoghi comuni». Uno di questi riguarda la parità di genere: non è sempre vero, infatti, che le donne guadagnano meno degli uomini. Lauree come quelle in Ingegneria ed
Economia presentano divari salariali minori fra maschi e femmine (rispettivamente 2.400 e 3.500 euro) rispetto ad esempio a Giurisprudenza, Scienze sociali e Scienze naturali, dove la differenza è tra i 5900 e i 7300 euro. «Il problema — aggiunge Peri — è che le donne iscritte a ingegneria ed economia forse son o ancora poche». Se nel tempo infatti è cresciuto il numero di ragazze che si iscrivono in università, «purtroppo non si riscontra un parallelo aumento dei loro salari — spiega Paola Profeta, docente di scienze delle finanze alla Bocconi — e in generale, considerate tutte le facoltà, il gap fra generi è ancora molto alto». Troppo poche donne che studiano queste materie, dunque. E forse la colpa è anche un po’ dei nostri licei, in molti casi ancora aggrappati a pregiudizi difficili da superare. La maggior parte dei professori di classici e scientifici, infatti, consiglia alle proprie allieve di iscriversi a facoltà come Architettura, Lettere oppure Scienze Sociali, spiega lo studio. «A volte si è portati a pensare che quella dell’ingegnere sia una professione tipicamente maschile — commenta Innocente Pessina, preside del liceo classico Berchet di Milano — questo avviene perché siamo ancora un po’ “stagionati”, e perché in passato era così. Ma ciò non vuol dire che si danno soltanto dei consigli in questa direzione, anzi: noi organizziamo incontri con tutte le università e con tutte le facoltà per i nostri studenti. Il suggerimento che personalmente mi sento di dare è uno solo: va’ dove ti porta il cuore, ovvero studia quello che ti piace. Perché non è detto che se studi archeologia un domani tu non possa diventare direttore di una banca».
Un altro mito da sfatare è quello che riguarda l’importanza del voto con cui si esce dall’università: secondo quanto emerge dalla ricerca, non è detto che il voto di laurea conti poco o nulla al fine di trovare un lavoro ben pagato. Viceversa, a parità di percorso di studi, chi si laurea con 110 guadagna in media il 50 per cento in più rispetto a chi porta a casa il voto più basso. «Questa è una prova che il sistema funziona — spiega Giovanni Azzone, ingegnere e rettore del Politecnico di Milano — e che le università fanno bene il loro lavoro: se chi ha voti migliori trova una remunerazione maggiore anche nel lungo termine, significa che il mercato del lavoro riconosce il voto di laurea come un indicatore valido. E questo è senz’altro un buon segnale».
La Repubblica 19.11.13