Le difficoltà di crescita sono alla base del voto di insufficienza dato dalla Commissione europea alla nostra legge di Stabilità e Bilancio. Per molti aspetti è paradossale, viste le pesanti responsabilità che la politica economica dell’Europa ha avuto. A partire dalla Grande crisi nel penalizzare le potenzialità di crescita dei Paesi dell’area euro. Si avverte la necessità di avviare, in vista del Consiglio europeo di fine anno, un serrato confronto per imprimere una svolta alla politi- ca economica europea. Anche perché le prospettive di ripresa in Europa si profilano assai modeste e le divisioni tra i Paesi membri, nonostante l’attuale bonaccia dei mercati finanziari, si stanno pericolosamente approfonden- do.
È un pesante avvertimento quello mosso al nostro Pae- se dalla Commissione europea. L’accusa centrale è di non aver fatto sufficienti passi avanti in tema di contenimento dello stock di debito, che secondo Bruxelles salirà ancora (134% del Pil) il prossimo anno violando così le nuove regole comunitarie. Da qui la richiesta all’Italia di applicare più rigore fiscale anche nel 2014. Altrimenti non ci sarà consentito di utilizzare nel 2014 la «clausola di flessibilità» ovvero i circa tre miliardi di investimenti pubblici produttivi co-finanziati dalla Ue, una sorta di premio per essere rientrati nel gruppo dei Paesi virtuosi (deficit pubblico inferiore al 3%) la scorsa primavera.
Il governo italiano si è affrettato a rispondere, non con- testando nel merito i rilievi di Bruxelles ma assicurando di avere già in programma misure di riduzione del debito (quali spending review, privatizzazioni e misure sul rientro dei capitali) che ci consentiranno di rispettare il prossimo anno gli impegni in tema di riduzione dello stock di debito.
Ora si può o meno credere a quanto afferma il nostro governo, ma la vera questione a me pare un’altra e riguarda l’atteggiamento di fondo della Commissione. Al centro della contestazione sul debito vi è un indicatore, formato dal rapporto tra stock di debito e Pil di un Paese. Da oltre tre anni la Commissione ha imposto a molti Paesi, tra cui l’Italia, politiche fiscali forte- mente restrittive – le cosiddette politiche di austerità – mirate a far diminuire il numeratore del rapporto (l’ammontare di debiti). Scarso o nessun interesse è stato rivolto al denominatore ovvero alla dina- mica del Pil, ritenendolo o esogeno o, comunque, risultato di scelte prettamente nazionali (le riforme strutturali). Non è stato così, in realtà, e lo sappiamo bene. Le politiche restrittive hanno provocato recessione e fatto diminuire i Pil di tutti i Paesi più indebitati (il denominatore), nella maggior parte dei casi più che compensando gli sforzi di aggiustamento fiscale dei singoli Paesi (contenimento del numeratore) e facendo così aumentare il fardello del loro debito.
Una così drammatica fallimentare evidenza avrebbe dovuto suggerire alla Commissione di modificare il suo approccio, prendendo atto che l’austerità è ormai una strada senza sbocco, perché riduce il Pil dei singoli Paesi e, dunque, non è in grado di migliorare il rapporto stock di debito su Pil (l’indicatore al centro del nuovo Patto Fiscale). Ma non è così. La Commissione continua a insistere sulla necessità – per l’Italia come per altri Paesi – di politiche restrittive direttamente finalizzate alla riduzione del debito. La crescita – ovvero il denominatore del rapporto – viene ritenuto una questione nazionale e quindi come il risultato delle riforme da portare avanti nei singoli Paesi.
Ma per quanto le riforme restino misure fondamentali – e lo sappiamo bene in Italia – è oggi necessario intervenire a livello di sistema, ovvero di area euro nel suo complesso dal momento che su gran parte dell’Europa incombe lo spettro della deflazione. È evidente che in queste condizioni per il rilancio delle crescita c’è bisogno di uno stimolo alla domanda e al mercato interno (soprattutto investimenti), a partire da aggiustamenti più simmetrici tra Paesi in surplus e quelli in deficit, da concordare a livello europeo. Solo se l’economia europea tornerà a crescere e aumenterà, quindi, il Pil dei Paesi più indebitati, si può spera- re che il rapporto stock di debiti su Pil riprenda a diminuire. Altrimenti l’euro rischia di trasformarsi in una micidiale trappola, fonte di ristagno e separazioni tra Paesi membri. Oltre che di voti per i movimenti populisti e antieuropei che si stanno rafforzando in tutta Europa.
Serve dunque una svolta nella politica economica della Ue che determini una discontinuità rispetto al ciclo dell’austerità a tutto tondo degli ultimi anni. La Commissione in primis dovrebbe promuoverlo facendosi interprete degli interessi sistemici, dell’area euro nel suo insieme. Il nostro Paese, insieme ad altri, può contribuire a che ciò accada. Senza ovviamente trascurare i compiti sul fronte interno, che oggi significano rendere più incisiva la l’azione di politica economica del governo, a partire dalla Legge di Stabilità, rafforzandone la capacità di stimolo e rilancio dell’economia.
L’Unità 17.11.13