Le donne scendono in campo per Rai Scienza, un canale della tv pubblica dedicato alla ricerca: il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, la neo senatrice a vita Elena Cattaneo e la deputata Ilaria Capua, che grazie alle loro ricerche sono divenute famose nel mondo, appoggiano la campagna de l’Unità. Scienziate prestate alla politica che spiegano dal punto di vista di chi ogni giorno è in prima linea l’utilità di un canale televisivo del servizio pubblico dedicato alla scienza, agli scienziati, alle loro Storia e alle loro storie. Accanto a loro Rossella Panarese, ideatrice e curatrice di Radio 3 Scienza, dà lo sguardo di chi da anni porta questi argomenti in onda ogni giorno.
«Sarei molto felice di assistere alla nascita di un canale Rai dedicato interamente alla Scienza – esordisce senza mezze misure Carrozza –, perché sono certa che potrebbe aiutare soprattutto le giovani generazioni a conoscere meglio il mondo che le circonda, a scoprire quanto l’Italia ha dato in passato e continua a dare in termini di scoperte scientifiche fondamentali».
L’EMOZIONE DEL MICROSCOPIO
L’immagine italiana infatti non è particolarmente lusinghiera da questo punto di vista: «Lo testimoniano anche diversi studi internazionali –non nasconde il ministro–: nel nostro Paese la cultura scientifica non è molto diffusa e spesso i nostri ragazzi registrano deficit in scienza e matematica rispetto ai loro coetanei europei. Invece, e il canale Rai Scienza potrebbe dimostrarlo, la scienza e la tecnologia possono ancora far sognare i giovani e i meno giovani».
Alle parole del ministro fa eco con entusiasmo Cattaneo, figura di punta nelle ricerche sulle cellule staminali: «Sarebbe una cosa straordinaria – spiega – ma se deve nascere un canale dedicato dovrà avere connotati alti e non rifugiarsi in quelle trasmissioni sui misteri, le magie, i miracoli e le stranezze. E non bisogna avere paura dell’audience, la scienza è divertente: datemi un teatro con 10mila posti e poi vediamo!» In che senso è divertente? «Potrei citare come mi tremavano le mani quando depositavo i vetrini sotto il microscopio quando era alle prove finali della mia ricerca sulle staminali e la malattia di Huntington, oppure la ricerca di Shinya Yamanaka sulla riprogrammazione cellulare che nessuno credeva possibile e lui l’ha dimostrata, o il nostro Giovanni Bignami che per anni ha studiato una stella che si giurava non ci fosse e invece c’era davvero e l’ha chiamata Geminga (che si pronuncia come in lombardo «Gh’ è minga», cioè non c’è mica Ndr) , ma forse il caso più bello è quello di Giacomo Rizzolatti, che a 72 anni non ha mai smesso di studiare e ha presentato un progetto di ricerca allo European Reserch Council sui neuroni a specchio che è stato finanziato con 2 milioni di euro. Nella scoperta c’è sempre qualcosa di avventuroso, lo scienziato è come nel deserto e pensa: sono fuori strada oppure al confine del nuovo».
Cattaneo ha pubblicato vari articoli sul rapporto non esaltante tra politica e scienza nel nostro paese, come garantire indipendenza a un canale scientifico: «Senza indipendenza e libertà di pensiero non c’è scienza. Al contrario gli scienziati potranno spiegare le loro ricerche, per esempio perché non è vero che le staminali embrionali sono inutili come qualcuno dice, oppure chiarire perché la sperimentazione sugli animali è necessaria e quanto facciamo per ridurla al minimo e alleviare le loro sofferenze».
Che vantaggio trarrebbero i cittadini da un canale tematico di questo tipo? «Lo spirito critico e la tolleranza: pochi sanno quanto il metodo scientifico obblighi a ragionare su se stessi e sul proprio operato: ogni volta che fai una ipotesi, tu per primo cerchi di smontarla in ogni modo, andando contro le tue idee. Quando pubblichi i risultati, qualsiasi scienziato nel mondo è autorizzato a smontarli e mostrare l’errore. Niente opinioni o supposizioni, ma dati, fatti e attenzione alle critiche: tutte cose che in Italia spesso mancano e mi permetto di dire che questa mancanza è parte importante nei problemi che il Paese si trova ad affrontare. La scienza è soprattutto un modo di vita che insegna a essere più tolleranti e autocritici: porta a una crescita civile».
Vicepresidente della VII Commissione cultura alla Camera, Ilaria Capua è una biologa virologa che ha raggiunto importanti risultati scientifici, ma soprattutto ha sfidato il sistema con la decisione di depositare la sequenza genetica di un ceppo africano di influenza su un sito open source a disposizione dell’intera comunità scientifica: «Occorre una rivoluzione culturale e la televisione ne può essere parte –spiega–: uno dei problemi che l’Unione Europea ci pone è proprio sui modelli culturali che trasmettiamo. Lo scienziato da noi piace ai bambini, ma già nell’adolescenza assume la figura dello sfigato, che non trova lavoro né soldi per le sue ricerche, quando al contrario proprio gli scienziati italiani stanno dando un forte contributo al progresso scientifico». E la televisione può essere utile in questo senso: «L’italiano si informa con la televisione, libri e internet sono ancora minoritari, e dunque ecco perché sono favorevole a un canale dedicato alla scienza. Le nuove generazioni devo imparare a essere all’altezza di quello che succede nel mondo, ad accettarne le sfide: ricordiamoci che nei Paesi dove l’economia è arretrata o sta arretrando c’è scarso interesse nella scienza. L’importante è essere divertenti e considerare la grande bellezza della scienza, la suggestione che può trasmettere». E lei come lo immaginerebbe un programma scientifico? «Partirei dalle immagini: ci sono foto di corpi celesti lontani milioni di anni luce che assomigliano agli ingrandimenti di lieviti, microbi, esseri unicellulari. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si toccano nella visione e magari anche nella televisione».
Tutto il potere agli scienziati a Rai Scienza? Affidare direttamente a loro l’ideazione dei programmi, assistendoli da un punto di vista tecnico, potrebbe essere un modo per colmare l’enorme ritardo accumulato dal nostro paese nel settore scienza e televisione. Quest’anno Rossella Panarese festeggia i dieci anni di Radio 3 Scienza, un traguardo importante per una trasmissione quotidiana. Gli chiediamo, è possibile fare scienza e audience? «Assolutamente sì, la nostra trasmissione è tra le prime 5 a essere scaricata in pod cast di tutto il sito di Radio 3, una ammiraglia della Rai. Questo ci onora e unitamente alle mail e agli sms che arrivano ci dice anche che il pubblico delle trasmissioni scientifiche è fedele, attento e visto che spesso ti corregge se ti sfugge qualcosa, dunque è anche esigente. Ma ci sono altri segnali positivi sul pubblico interessato alla scienza, come i Festival che riscuotono sempre un notevole successo». Voi che spesso li seguite, come è il contatto diretto con il pubblico? «Molto utile e interessante, spinge a creare un linguaggio che sa raccontare, ma con rigore, e anche a creare un dialogo». E gli scienziati, soprattutto quelli italiani, sono pronti a questo dialogo sui mezzi di comunicazione di massa? «Prima di Radio 3 Scienza già mi occupavo degli stessi argomenti ma senza cadenza quotidiana: gli scienziati in questi 20 anni sono molto cambiati, hanno capito l’importanza della comunicazione, ci tengono e ci sono molti esempi di veri comunicatori».
L’Unità 17.11.13