Alla minaccia di Berlusconi, il ribelle Alfano, direbbe Machiavelli, rompe ogni indugio per svelare se «elli è vero amico e vero inimico; cioè se, sanza alcun respetto, si scuopre in favore di alcuno contro ad un altro». Finalmente sembra calare il sipario sul duello tra falchi e colombe. Una sfida infinita in cui tutti minacciavano di far scorrere sangue nei palazzi ma nessuno si decideva a premere il grilletto. Senza scelte definitive, la contesa si trascinava come una sceneggiata monotona. Alfano decide di ritirarla dai palcoscenici della piccola politica odierna.
Berlusconi intendeva sfruttare le colombe per tirare avanti ancora un poco in quella strada che con un certo eufemismo si chiama stabilità. Il suo piccolo calcolo di potere prevedeva di logorare un Pd su cui ricade l’onere della governabilità, di impedire che alcune scelte innovative vengano adottate, di godere del plusvalore che come leader antipolitico ricava proprio dal pantano della non decisione cui si contorce la cosiddetta grande coalizione.
In questo suo piano il Cavaliere pensava di distruggere il nemico, in evidente affanno nel reggere con finzioni e acrobazie una maggioranza inesistente, e di preparare dall’opposizione di piazza la imminente successione dinastica. Con le smaglianti vesti del nuovo che avanza, la sua protesi politica, magari costruita in famiglia dove piccole donne crescono, potrebbe trionfare. I suoi media e quelli delle altre reti non a caso hanno in palinsesto un programma unico: l’antipolitica.Alfano gli rovina i piani. Ha compreso che persistendo nella sua ambigua collocazione, un po’ ribelle contro chi per evitare la decadenza tenta l’omicidio del governo ma un po’ ancora fedele al padre fondatore, non poteva trovare la via della salvezza. Se ai suoi scudieri toccava solo di interpretare la parte residuale, che in fondo neppure a Berlusconi dispiaceva, di mandare sulle lunghe ma non troppo la durata della legislatura, la loro sorte sarebbe stata segnata, senza neppure l’onore di aver perso nel duro campo di battaglia. Il destino di Alfano e delle sue truppe, si separa da quello della destra berlusconiana. Ha avuto coraggio nel non mostrarsi intimorito e nel non tirare la mano indietro lanciando piccoli segni di ravvedimento. Ha osato ribellarsi all’unto del signore e quindi ha percepito che senza la separazione la tragica rovina era certa, e inevitabile. Non si è illuso Alfano di andare avanti con trattative ad oltranza per concordare spazi di potere condivisi tra le fazioni. E non è stato ingenuo al punto di abboccare a lusinghe di accordo e a fantasiose ipotesi di mediazione per la gestione duale del non-partito. Con un Berlusconi che coltiva un gran rancore proprio quando assicura che la sua è la casa di tutti, non si negozia ed è «più utile lo scopriti e fare buona guerra», incalzerebbe
Machiavelli. Non avrebbe mai tenuto fede ai patti siglati con gli insubordinati, il Cavaliere. E non avrebbe mostrato alcuna comprensione verso chi ha peccato per sfrontatezza e non merita perdono. Come intuiva Machiavelli, in politica «chi vince non vuole amici sospetti e che non lo aiutino nelle avversità». Per non capitolare, Alfano ha evitato saggiamente di sedersi di nuovo accanto a Berlusconi. Separandosi subito dal capo, lascia esplodere finalmente il colpo che ha in canna. Non aveva alternative, sarebbe stato bruciato e con lui anche i suoi incauti seguaci. È stato inevitabile disertare un consiglio nazionale che si annunciava come il temibile luogo dei lunghi coltelli. Dopo la rottura, Alfano dovrà contrattare subito i tempi e le riforme elettorali e istituzionali necessarie. Per organizzare con i suoi 25 deputati e 31 senatori una forza autonoma, gli tocca disegnare un altro sistema politico. Deve per questo avere in mente come e con chi abbozzare un itinerario verso la Terza Repubblica. Non è facile, ora che tutto sembra liquido, provvisorio, imprevedibile, melmoso. La prospettiva di accollarsi i rischi della stabilità, con una maggioranza più omogenea ma anche più risicata e con Grillo, Berlusconi e la Lega pronti a fare terra bruciata con fuochi di rivolta, non provoca in giro largo entusiasmo. Il sentiero stretto che Alfano deve attraversare richiede perciò capacità di manovra, chiarezza strategica, determinazione nel bandire ogni esitazione e ma anche nello schivare fallaci aspettative in soccorsi tempestivi.
Con la rottura tra Alfano e Berlusconi non nasce un nuovo sistema politico perché un sistema riordinato non c’è all’orizzonte, e tutto pare polverizzato e frantumato da una ondata di scissioni. Comincia però una nuova fase politica. La metamorfosi di un delfino privo di «quid» in un politico di rango con uno spazio da occupare è la posta in gioco, in un clima che rimane di assoluta incertezza. Del resto, spiegava nel 1513 il Segretario fiorentino, «né creda mai alcuno stato potere sempre pigliare partiti securi, anzi pensi di avere a prenderli tutti dubbii».
L’Unità 16.11.13
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