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“Prostituzione minorile, non chiamiamole baby escort”, di Pia Locatelli

Il modo in cui la nostra stampa ha trattato e sta trattando il caso delle ragazzine sfruttate come prostitute a Roma e a Milano è a dir poco disgustoso. Vedere quello che è considerato il più autorevole quotidiano nazionale dedicare due pagine a una squallida vicenda, soffermandosi su particolari e dettagli della vita delle ragazze, per soddisfare la curiosità dei propri lettori e vendere qualche copia in più, è qualcosa che ha ben poco a che fare con il diritto di cronaca e bene ha fatto il Garante della privacy a richiamare i media al “più rigoroso rispetto della riservatezza delle giovani”.

Non si tratta certo di nascondere o non dare le notizie ma del modo e del linguaggio che viene usato nel darle. “Baby escort”, “ragazze doccia”, “prostitute bambine”, “puttanelle”, sono solo alcuni degli aggettivi con cui vengono definite coloro che non sono altro che ragazzine di 14, 15 al massimo 16 anni finite in un giro più grande di loro, vittime di individui senza scrupoli.

Si parla fin troppo delle intercettazioni sui telefonini delle minorenni, dei loro sms del fatto che nessuno le ha costrette, che erano coscienti e consenzienti. E si parla troppo poco di chi le sfruttava e dei clienti, definiti “persone facoltose” nel caso di Roma o “compagni di scuola” nel caso delle studentesse milanesi.

Linguaggi diversi e parole diverse a secondo del genere. E c’è anche chi tra le righe, ma manco troppo, fa capire che alla fine alle ragazze la cosa piaceva pure e quindi perché poi scandalizzarsi tanto?

Ed è proprio da quelle intercettazioni, invece, che emerge tutta la debolezza, il malessere, la difficoltà di quelle ragazzine imbottite di cocaina che devono destreggiarsi tra l’andare a scuola, fare i compiti e il “lavoro”, divenuto indispensabile per far fronte al bisogno crescente di droga.

Poco più che bambine alle prese con un nuovo gioco del quale forse non capiscono neanche la portata, trasformate dalla maggior parte dei media da vittime a complici.

Così come sono definite complici e colpevoli le madri: la prima che avrebbe addirittura istigato la figlia a prostituirsi e usufruito dei sui profitti, ma anche la seconda, quella che ha scoperto e denunciato tutto, che viene dipinta come assente, colpevole di essere “partita per fare una vacanza da sola”.

Non una parola al contrario sui padri delle ragazze. Esistono? Dove erano? Perché non hanno vigilato sulle loro figlie delegando ancora una volta tutto alle madri?

La realtà purtroppo è che gli stereotipi di genere sono tutt’altro che debellati e che l’idea della donna adescatrice e puttana fa parte ancora dell’immaginario collettivo, dimenticando che lo sfruttamento della prostituzione è un reato. Non solo ma in base alla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, andare con dei minori rientra nella pedofilia, (reato ancor più grave) tanto più se le vittime, e ripeto vittime, hanno meno di 16 anni. Diciamolo chiaramente altrimenti meglio il silenzio.

Il Fatto Quotidiano 15.11.3

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