In un paio di settimane siamo passati dall’annuncio di una ripresa economica imminente in Europa al crescente timore di una deflazione, e poichè la crescita dei prezzi nell’area euro, e specie nei Paesi del sud Europa, è risultata prossima allo zero, segnale di stagnazione, la Bce ha portato i tassi di interesse ufficiali prossimi allo zero con la solita opposizione dei rappresentanti te- deschi. D’altro canto si dice che le risorse sono scarse e che perciò bisogna accontentarsi, per la crescita, di decimali.
Ma il discorso delle risorse può essere affrontato da un punto di vista assai diverso, quello tipico dell’approccio riformista: poiché vi sono in Italia quattro milioni di disoccupati ed una gran parte di capacità produttiva inutilizzata che rischia di essere distrutta, vuol dire che esistono grandi risorse per rilancia- re l’economia: compito della politica economica dovrebbe essere non di distruggere quelle risorse, come si sta facendo con le politiche di austerità, ma di mobilitarle ed indurre il sistema economico ad utilizzarle.
La politica monetaria può essere un gran- de strumento per quella mobilitazione: poiché il potere politico, non più limitato come in passato dal sistema monetario basato sull’oro, può ora creare moneta a volontà, esso dispone di una leva formidabile per aumentare la domanda interna e spingere in tempi di crisi il sistema economico ad utilizzare le risorse inutilizzate. Le banche centrali stanno già creando moneta e dove lo stanno facendo senza le remore imposte alla Bce, negli Usa ed in Giappone, le cose vanno meglio. Ma anche lì vi sono problemi: non c’è recessione, ma la ripresa economica è fiacca. I flussi di nuova moneta vengono trasmessi principalmente attraverso il canale bancario il che vuol dire che solo parte di essi va all’economia reale, una gran parte si dirige invece verso impieghi speculativi o al risanamento delle stesse banche e, per la parte che va all’economia reale, spesso, come succede in Usa, va ad accrescere attraverso mutui e credito al consumo l’indebitamento della famiglie che è stata la causa principale della crisi finanziaria e immobiliare. Perciò là dove si discute di politiche monetarie non convenzionali ci si riferisce alla possibilità che le banche centrali dirigano la nuova moneta direttamente verso l’economia reale o finanziando a costo zero investimenti pubblici e rottamando definitivamente l’idea della separazione tra politi- ca monetaria e bilancio pubblico, o alimentando fondi specializzati per investimenti in infrastrutture o per le imprese piccole e medie.
Ma, se vogliamo davvero dirci tutta le verità sulle possibilità di ripresa economica di lunga durata, bisogna trattare un tema che viene regolarmente rimosso: il nodo nel quale sono confluite tutte le contraddizioni del modello di sviluppo ora in crisi è la formazione in tutti i Paesi avanzati di un debito totale, somma di debito pubblico e di debito privato, di dimensioni tali che non hanno precedenti nella storia. Ed è la prima volta che in una situazione di eccesso di indebitamento il debito privato sopravanza e di molto il debito pubblico. Un eccesso di indebitamento comporta inevitabilmente un rischio di deflazione: il grande economista statunitense Irving Fisher spiegò la grande depressione degli anni 30 come una deflazione causata dall’eccessivo debito. In ogni caso il peso di un enorme debito è destinato ad ostacolare la crescita nel lungo periodo.
Ora si dà il caso che, grazie alle politiche fin qui seguite, a sette anni dall’inizio della crisi il debito totale non è diminuito anzi sta aumentando dappertutto; attualmente, nella media dei Paesi europei, esso è pari a tre volte e mezza il pil. La storia ci mostra diversi modi in cui situazioni di eccesso di indebita- mento sono state affrontate, più recentemente dopo le guerre mondiali quando, a causa della guerra, i debiti pubblici diventarono elevatissimi. C’è stato anche allora, ad esempio in Inghilterra, il tentativo di sgonfiare il debito pubblico con l’austerità: il risultati furono, come ci ha ricordato recentemente il Fondo Monetario Internazionale, venti anni di stagnazione economica, altissima disoccupazione ed un debito pubblico che salì dal 130% al 190% del Pil.
Le risposte che hanno funzionato sono tre e possono essere anche mixate. Prima, fare fallire le banche cancellando così buona parte del debito. Così avvenne in Italia negli anni 30. Le banche furono successivamente nazionalizzate per assicurare il finanziamento dell’economia. Il risultato fu che l’impatto della grande depressione sull’economia italiana fu allora inferiore a quello prodotto finora dalla crisi attuale. Seconda, ristrutturare i debiti. Recentemente questo è stato fatto per la Grecia e Cipro, ma solo quando la situazione era diventata disperata: l’esito resta per- ciò incerto e questa risposta comunque non attacca il debito privato. L’ultima risposta, quella data in tutti i Paesi che avevano parte- cipato alla Seconda guerra mondiale, consistette in una forte inflazione che, in quanto sospinse anche la domanda interna, trainò una forte crescita del Pil nominale ed una svalutazione del debito ed in una decina di anni riportò il debito a livelli normali. Questa soluzione colpì duramente i risparmiatori, ma aiutò i le nuove generazioni che ricostruirono i propri Paesi. Del resto tutte queste soluzioni colpiscono i risparmiatori, ma è poi possibile uscire da una situazione di eccesso di indebitamento senza distruggere una parte dell’eccessiva ricchezza finanziaria?
Non esistono soluzioni indolori, l’importante è non fare come se il problema non ci fosse.
L’Unità 15.11.13