Quando Anthony Marasco ha sentito quella frase si è arrabbiato ancora di più. Già è furibondo per come l’Italia lo ha trattato, le parole della ministra dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza gli sono sembrate uno schiaffo dritto in faccia, e ha deciso di rispondere. «A differenza del passato – aveva spiegato la ministra parlando del suo nuovo programma per il rientro dei cervelli fuggiti all’estero – stavolta garantiremo il consolidamento dei ricercatori in arrivo dall’estero all’interno del sistema universitario. Non si può fare l’attrazione con i contratti a termine. Occorre rendere chi rientra professore, con una posizione decorosa e degna dello sforzo che ha fatto per tornare in Italia». Dopo averla letta, Anthony Marasco ha scritto una lunga lettera che è stata firmata da oltre 30 altri che, come lui, si erano fidati negli anni scorsi delle promesse dei governi italiani. Alcuni di loro pagando la scelta a caro prezzo. «Chi scrive – spiega Marasco – è parte di quel “passato” a cui si riferisce il ministro. Noi siamo fra coloro che, a vario titolo e in vario modo, si sono trovati senza garanzie e senza certezze a dover fare i conti con una realtà che cambiava di giorno in giorno. Alcuni di noi sono stati stabilizzati; altri per essere stabilizzati hanno dovuto accettare un abbassamento di rango e di stipendio; altri ancora sono dovuti ritornare all’estero o hanno dovuto cambiaremestiere. Per tutti, comunque, si è trattato di un inutile calvario, con atti formali presi all’ultimo minuto, leggi che cambiano improvvisamente, procedure farraginose e incerte. Fa piacere leggere che tutto questo ora non accadrà più. E non voglio avere alcun dubbio che davvero non accadrà più, ma mi sembra incredibile che un ministro ammetta che finora delle persone siano state trattate in modo non dignitoso e che le ignori come se fossero cadaveri. Noi non siamo cadaveri, siamo persone con delle vite che abbiamo messo in gioco perché ci siamo fidati.Non si pu ò voltare pagina facendo finta che non esistiamo». Esistono, invece, e porteranno per sempre su di loro i segni di questo tradimento. Come Carlo Caruso, italianista che l’Italia non vuole e che è tornato a lavorare in Gran Bretagna da cui era rientrato, uno che all’università di Durham oggi lavora con una borsa di studio da 130mila sterline. «Con altre università il mio curriculum è fonte di attenzione e di stima. In Italia mi sono sentito un ostacolo. Persino chi è a costo zero come noi che eravamo finanziati dal Miur, venivamo ostacolati solo perché esterni rispetto al corpo docente». Lo stesso vale per Anthony Marasco, Phd a Berkeley, specializzazione in Storia intellettuale, nel 2004 arriva all’universit à Ca’ Foscari di Venezia ad insegnare Letteratura Americana. «L’entrata è stata da rockstar: applausi, complimenti, tutti felici, tutti attorno. Quattro anni dopo l’uscita è stata da incubo. Persino la docente che mi aveva chiamato per partecipare al programma non mi salutava più per strada. Da risorsa ero diventato un problema». Dopo aver combattuto e vinto la battaglia per far stabilizzare anche i ricercatori come lui, alla Ca’ Foscari, che fino ad allora aveva rifiutato la sua stabilizzazione perché la legge non lo permetteva, ha scoperto che il suo corso non interessava più, che la letteratura americana poteva anche non essere insegnata. «In realtà poi hanno proposto il corso ad una persona con competenze completamente diverse. Non sarei dovuto tornare in Italia,ma di fronte alla promessa di un posto stabile perché non sarei dovuto rientrare?». E ora che ha moglie e figli, trovare di nuovo un percorso all’estero non è semplice, spiega. E quindi è qui, lavorando come può. «Non siamo dei martiri – scrive nella lettera alla ministra Carrozza -, ma persone in carne e ossa che avevano contato su un Programma ministeriale per poter continuare la propria ricerca in Italia. È troppo tardi? E perché mai? Tutti sanno – continua – a che cosa siamo andati incontro, e pochi sono disposti oggi ad accettare quella che è una vera e propria roulette russa. Sia coraggiosa signora Ministro, e metta fine a una stagione poco felice per aprirne una completamente nuova».
La Stampa 14.11.13
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