C’è qualcosa di antico nei reparti novità delle librerie che in questi giorni si riempiono di un’ampia produzione storico-polemica sul centrosinistra. Anzi, antichissimo: combattivi pamphlet, polemici libri-intervista, scioccanti libri-verità in cui, direttamente o indirettamente, ora facendo nomi e cognomi ora lasciandoli intuire, a volte mettendoci la faccia e altre volte schermandosi dietro quella dell’intervistatore, del retroscenista o del portavoce, i principali dirigenti del centrosinistra ricostruiscono le vicende che li hanno visti protagonisti.
Già i titoli dicono molto. Se ad esempio il libro firmato dal portavoce di Pier Luigi Bersani Stefano Di Traglia, insieme con la direttrice di Youdem Chiara Geloni, si intitola Giorni Bugiardi («Primarie, elezioni, Quirinale. Così poteva cambiare l’Italia», Editori Riuniti), il libro di Sandra Zampa, ex portavoce di Romano Prodi e oggi parlamentare del Pd, restringendo il campo dell’indagine alla sola vicenda del voto sul presidente della Repubblica, si intitola I tre giorni che sconvolsero il Pd (Imprimatur editore). Più ampio invece l’arco temporale preso in esame dal giornalista dell’Espresso Marco Damilano, in un saggio in cui parlano, rievocano e si punzecchiano abbondantemente a vicenda lo stesso Prodi, Walter Veltroni e Massimo D’Alema. Titolo: Chi ha sbagliato più forte («Le vittorie, le cadute, i duelli dall’Ulivo al Pd », editori Laterza). D’altra parte Massimo D’Alema la sua versione dei fatti, a partire da ancora prima, e cioè dai tempi di Achille Occhetto, l’aveva già consegnata al libro-intervista con Peppino Caldarola dal titolo Controcorrente («Intervista sulla sinistra al tempo dell’antipolitica», editori Laterza), mentre lo stesso Occhetto, dal canto suo, proprio in questi giorni è in libreria con La gioiosa macchina da guerra («Veleni, sogni e speranze della sinistra», Editori riuniti). Quanto a Veltroni, un libro-intervista del genere, dal titolo Rivoluzione democratica, qualche anno fa era stato annunciato e già messo in prenotazione presso le librerie. Su internet se ne trova ancora il lancio promozionale, che descrive un libro dedicato alla «storia di questi anni travagliati, dal primo governo Prodi alle ultime elezioni regionali… dalla nascita del Pd con la sfida del Lingotto alle elezioni del 2008, alle ragioni delle dimissioni che hanno interrotto un progetto nuovo per la politica italiana».
Questo del progetto interrotto, del sogno infranto, del grande cambiamento fermato all’improvviso è in effetti il tema di fondo che unisce tutti questi libri, riusciti e meno riusciti, più ambiziosi e più occasionali, pubblicati e non. Ciascuno di essi, in un modo o nell’altro, accredita l’idea che in fondo la grande speranza di un governo di centrosinistra che avrebbe potuto cambiare l’Italia sia stata tradita dalle divisioni interne si tratti della svolta di Occhetto del ’91, del governo Prodi del ’96, del governo D’Alema del ’98 o di un ipotetico governo Veltroni che avrebbe dovuto essere il frutto più maturo della «nuova stagione» iniziata con le primarie del 2007 salvo non concordare tra loro, ovviamente, sulla precisa identità del traditore (che Occhetto parrebbe scorgere in D’Alema, Prodi a seconda dei momenti in D’Alema in asse con Franco Marini oppure in Veltroni in combutta con Goffredo Bettini, Veltroni e D’Alema, a seconda di quegli stessi momenti, l’uno nell’altro in combutta con Prodi). Nessuno sembra invece prendere in considerazione l’ipotesi che non siano le divisioni interne ad avere impedito di realizzare quel grande progetto politico che ciascuno di loro era convinto di incarnare, ma piuttosto il contrario. Che le divisioni siano cioè non la causa, ma la conseguenza dell’impotenza politica.
Questa chiave di lettura tutta incentrata su moventi e scelte personali dei singoli dirigenti ha alimentato nel tempo, dentro e intorno al centrosinistra, una sorta di autogrillismo interiore (che forse non ha avuto scarsa influenza nella diffusione e nel successo del grillismo esteriore). Anche qui, insomma, l’impressione è che le reciproche accuse e sospetti, le mille teorie del complotto e la continua denuncia di traditori e quinte colonne nelle proprie file, siano anzitutto un alibi. Forse anche perché alla fine è meno doloroso accettare di prendersi la propria parte di accuse, nel mare delle reciproche recriminazioni, piuttosto che riconoscersi tutti insieme in una comune sconfitta. E accettare l’idea che il grande cambiamento incarnato di volta in volta da ciascuno di loro, dai loro governi o dalle loro leadership, non fosse semplicemente abbastanza grande per farcela da sé, per convincere i riottosi e intimidire i rivali, per aggregare il consenso sufficiente a mettersi al riparo da ogni manovra e da ogni tradimento.
Nella sfilata di spettri che sembra popolare in questo periodo le notti di dirigenti, militanti e semplici elettori del centrosinistra si fatica a distinguere il fantasma di Banquo dall’ombra di Macbeth, vittime e carnefici si confondono continuamente, fino a risultare indistinguibili. E questa è probabilmente la ragione per cui all’estero anche gli osservatori più esperti faticano a seguire il dibattito: perché non parla di politica.
L’Unità 14.11.13