Sanzioni più basse che in Austria o in Gran Bretagna, intorno al 12% delle somme rimpatriate, in cambio dei nomi dei consulenti che hanno aiutato i clienti a nascondere patrimoni in Svizzera. Un gettito supplementare per lo Stato che nel 2014 può arrivare intorno ai cinque miliardi di euro, con flussi di entrate fiscali di circa trecento milioni l’anno in seguito. E la depenalizzazione dei casi di evasione su cifre elevate, pur di invogliare i proprietari di grandi fortune ad alzare il velo sui loro fondi all’estero.
L’AGENZIA delle Entrate e il governo sono nella fase finale di preparazione delle misure per il rientro dei capitali, ma non sarà uno scudo fiscale: non è prevista tutela dell’anonimato degli italiani che fino ad ora hanno nascosto i loro soldi in Svizzera. Formalmente non sarà neppure un condono, ma una sanzione (ridotta) dopo una «dichiarazione volontaria» di chi fino ad oggi ha tenuto dei fondi in un paese che tutela il segreto bancario. Di certo però, come le varie misure di scudo, anche questa è destinata a sollevare problemi di equità: in cambio delle informazioni su se stessi e coloro che aiutano gli italiani ad evadere all’estero, chi ha evitato di pagare le tasse finora se la caverà con multe relativamente basse.
Entro il 15 dicembre l’Agenzia delle Entrate deve diffondere una circolare sul dispositivo di rientro dei capitali che scatterà nel 2014. Non esistono ancora posizioni ufficiali, ma di recente i funzionari del fisco ne hanno parlato in convegni per addetti ai lavori a più riprese. Ne emerge una scelta che potrebbe cambiare la posizione di decine di migliaia
di italiani con conti anonimi.
Molti fattori sono cambiato dall’ultimo scudo nel 2010 e fra questi uno determinante: le banche svizzere, a differenza del passato, non hanno più molto entusiasmo per clienti italiani, tedeschi o britannici in situazione illegale. Gli arresti per evasione dei banchieri di Ubs negli Stati Uniti, lo stritolamento della secolare banca Wegelin di San Gallo per lo stesso motivo, lo scandalo della lista Falciani della Hsbc di Ginevra spingono gli svizzeri a cambiare. Preferiscono conti che abbiano nome e cognome. Il costo per la loro reputazione è ormai troppo alto.
La prossima offensiva dell’Agenzia delle Entrate si inserisce in questo quadro dopo anni di avvicinamento. In silenzio, dopo la chiusura dello scudo del 2010, i proprietari di alcune grandi fortune d’Italia hanno continuato a autodenunciarsi e con loro il fisco ha negoziato accordi del tipo che ora proporrà a tutti: l’Agenzia delle Entrate applicherà le
sanzioni minime e, se non ci sono contestazioni, riducibili automaticamente di un terzo o forse più. Marco Cerrato, un avvocato tributarista socio dello studio milanese Maisto e Associati, si aspetta soprattutto «trasparenza »: i funzionari del fisco, prevede, «vorranno conoscere i meccanismi della fuoriuscita di capitali e i fiduciari che hanno organizzato le strutture off-shore». È una modalità del diritto civile simile a quella dei collaboratori di giustizia, con sconti sulle sanzioni per chi implica altre persone.
Per chi ottiene gli sconti, si tratterà di pagare le imposte sui redditi da capitale degli ultimi quattro-dieci anni (secondo le posizioni) più una sanzione del 9% del patrimonio fiscalmente rimpatriato. È probabile che il prelievo finale sarà appunto del 12%, con fluttuazioni fra il 10% e il 15% in base ai singoli casi. Nell’ultimo scudo di Giulio Tremonti era stato fra il 5% e il 7%. Negli accordi appena conclusi dalla Svizzera con Gran Bretagna, Austria e Germania invece il prelievo fluttua fra il 15 e il 25% del capitale detenuto all’estero, benché in quel caso il contribuente resti anonimo e non c’è quella che di fatto è la delazione al fisco del consulente che lo ha fatto evadere. E poiché in Svizzera oggi si contano fra 120 e 180 miliardi di euro su conti anonimi di molte decine di migliaia di italiani, se solo circa un terzo di loro si autodenuncia potrebbero rientrare circa 50 miliardi per un gettito sul 2014 di cinque. Quei 50 miliardi poi possono generare tasse sulle plusvalenze per circa 300 milioni ogni anno.
Un ruolo centrale lo avrà l’Ucifi, l’Unità centrale di contrasto all’evasione internazionale. Il suo direttore è Antonio Martino, un ex colonnello della Guardia di Finanza che ha lavorato con Francesco Greco nella Procura di Milano. Proprio Greco guida oggi una commissione sull’autoriciclaggio che studia una norma per incoraggiare le autodenunce dei più ricchi: una legge che depenalizzi la grande evasione, quella dei patrimoni sopra gli otto o nove milioni investiti offshore. Non un passo da poco, per un paese della storia (recente) dell’Italia.
La Repubblica 14.11.13