Votare di nuovo con il Porcellum sarebbe una catastrofe. Perché il Porcellum è ormai il simbolo dell’impotenza della politica, oltre che una delle cause del collasso del sistema. Ma il rischio che il Parlamento non riesca neppure stavolta a cambiare la legge elettorale sta drammaticamente crescendo. Mentre le speranze riposte sulla prossima sentenza della Corte costituzionale appaiono eccessive, dal momento che i giudici possono intervenire solo parzialmente. La prima commissione del Senato affronterà il tema questa settimana. Il Pd ha proposto il doppio turno – ballottaggio tra i due partiti, o coalizioni, meglio piazzati al primo turno – ma non sembra trovare i consensi sufficienti. E il no al doppio turno potrebbe bloccare di nuovo ogni trattati- va sulla riforma. Il problema è che il Porcellum, nonostante i molti opposi- tori dichiarati, gode di numerosi e trasversali consensi non dichiarati. Il Pdl osteggia il doppio turno perché lo ritiene svantaggioso, rifiuta il Mattarellum perché sconta un deficit di presenza nel territorio, e a tutto questo ora si aggiunge anche l’incertezza determinata dallo scontro interno: comunque vadano le cose, la legge Calderoli resta un’assicurazione per Berlusconi, che può comporre così le proprie liste sul- la base di criteri di assoluta fedeltà.
Ma anche Grillo non fa mistero di preferire il Porcellum a tante possibili alternative. Respinge i collegi uninominali, dal momento che il M5S è un partito carismatico e i candidati grillini sono pressoché sconosciuti. Considera il ballottaggio di coalizione un rischio troppo alto (tanto che lo ha già definito Porcellum-bis). E, in fondo, è pronto a contrastare ogni soluzione capace di garantire maggiore stabilità: è l’instabilità il terreno in cui Grillo vive e prospera.
L’amara verità è che anche nel Pd ci sono resistenze e ostilità alla riforma. Alla Leopolda di Renzi si è detto e ripetuto che il Porcellum è sempre meglio di una legge proporzionale. Ma, a parte il fatto che la legge Calderoli è incostituzionale, che non ha uguali nei sistemi democratici, che è percepita dalla stragrande maggioranza degli italiani come un oltraggio – dunque considerarla migliore di una legge imperfetta, o inopportuna, ma comunque dotata degli elementari requisiti di legittimità, è un azzardo che mal si concilia con il senso dello Stato che dovrebbe avere chi si candida a governare il Paese – bisognerebbe smetterla con le battute confuse e generiche sul maggioritario e il proporzionale: è da considerare peggiore del Porcellum anche una legge elettorale sul modello spagnolo, con circoscrizioni piccole, in modo da incrementare sensibilmente la rappresentanza parlamentare dei partiti maggiori? È da considerare peggiore del Porcellum anche un sistema, che pur muovendo da una base proporzionale, premi (senza gli eccessi della legge Calderoli o della legge Acerbo) il partito più votato in modo da favorire la formazione attorno ad esso di una maggioranza?
Non sono domande retoriche per- ché, nel caso malaugurato che Pdl e M5S bocciassero il doppio turno, è su questi terreni che il Pd dovrebbe riaprire il confronto. E, se decidesse di non farlo, allora non potrebbe più dire che il Porcellum è il male assoluto. Diventerebbe semplicemente una carta nelle mani del nuovo gruppo dirigente del Pd, da giocare se serve. Del resto, è già accaduto: quando le elezioni arrivano all’orizzonte, il vincitore più accreditato dai sondaggi è sempre tentato di servirsi del Porcellum, rinviando alla legislatura successiva la necessaria riforma.
È vero che la politica è fatta anche di cinismo e ipocrisie. Ma questi giochi pericolosi sul Porcellum rischiano di trasformarsi in un suicidio. Davvero qualcuno può pensare di «vincere» alcunché in un simile contesto istituzionale, dove nella sfiducia dei cittadini i margini d’azione della politica sono stretti dalle compatibilità esterne e da un’ingovernabilità endemica? Bisognerebbe tornare a parlare il linguaggio della verità. La sinistra soprattutto dovrebbe scrollarsi di dosso quella sudditanza all’ideologia della Seconda Repubblica, che ne ha ridotto di molto la forza di cambiamento. Chi intende inseguire il mito dell’elezione diretta dei governi (e del premier) deve dire con nettezza che vuole stracciare la Costituzione e riscriverla secondo un impianto presidenzialista. E chi invece è convinto che il modello europeo dei governi parlamentari sia ancora la soluzione più equilibrata, nient’affatto antagonista ad un rafforzamento dei poteri del premier, deve trovare il coraggio di contrastare apertamente le soluzioni presidenzialiste, e ancor più le ibridazioni come il cosiddetto «sindaco d’Italia», che semplicemente è in- compatibile con gli ordinamenti costituzionali moderni.
In tema di istituzioni, non se ne può più di giochi di prestigio con le parole. Ad esempio, non basta evocare un astratto modello bipolare, senza tener conto dei liberi orientamenti della società. Il nostro sistema politico è oggi quantomeno tripolare e non è ragionevole pronosticare la scomparsa in tempi brevi del movimento di Grillo. Il bipolarismo non può essere una costrizione indotta da una legge elettorale: la Prima Repubblica è stata a lungo fortemente bipolare pur impedendo l’alternanza di governo. La crisi della Prima Repubblica è stata anche una crisi del suo bipolarismo. La cosiddetta Seconda Repubblica ci ha dato bipolarimo e alternanza, ma in un quadro di frammentazione e instabilità crescente. Adesso dobbiamo scegliere: consentire ad uno dei tre poli in competizione di governare senza larghe intese oppure bloccare l’alternanza destra-sinistra aprendo praterie al populismo anti-europeo? Questa è la scelta di sistema che dobbiamo compiere senza sotterfugi. Il doppio turno all’interno di un sistema parlamentare è la nostra opportunità migliore, se vogliamo riagganciare l’Europa. Ma, se la strada fosse sbarrata, non per questo dovremmo smettere di cercare nei modelli europei una riforma che superi il Porcellum e che consenta il governo del Cancelliere o del Primo ministro. Chi pensa di cavalcare il Porcellum per conquistare il potere, come chi pensa con espedienti di rendere quasi inevitabili le grandi coalizioni, forse ha perso di vista l’interesse dell’Italia.
L’Unità 10.11.13