Molti non avevano previsto la decisione adottata ieri con la quale il Consiglio direttivo della BCE, con una forte maggioranza, ha stabilito di portare i tassi ufficiali di riferimento allo 0,25%. A maggioranza, non perché vi sia stato dissenso sul “ se” ridurre il costo del denaro, ma sul ”quando” ridurlo, sulla più opportuna tempistica da scegliere, ed è opportunamente prevalsa l’opzione dell’immediatezza. Le motivazioni alla base di delibere del genere, in applicazione dei criteri seguiti dal banchiere centrale, ricorrono pienamente: inflazione molto discosta dal 2%, euro forte, crescita moderata, sussistenza di differenziazioni nei mercati della zona-euro in tema di tassi e di finanziamento del debito sovrano. Il costo ufficiale del denaro ha così raggiunto il minimo storico. Per quanto si tratti di una eccellente delibera, che qualcuno ha definito storica, non è pensabile che essa sia la panacea. Incoraggia la crescita, ha detto Letta. Ma vale, oltreché per le quantità, per l’effetto – annuncio che la decisione provoca integrato dalla dichiarazione di Mario Draghi secondo la quale la Bce è pronta ad usare tutti gli strumenti in suo possesso per conseguire le finalità proprie dell’istituzione. La manovra non è stata accompagnata, per il momento, dalla penalizzazione dei depositi costituiti presso la Bce che sarebbe opportuna per evitare che le banche collochino presso di essa i fondi dalla stessa ottenuti con il rifinanziamento, costituendo così un freno alla deflusso della liquidità, ma è integrata dall’assicurazione che i prestiti della Banca centrale agli istituti – le operazioni Ltro a tre mesi – continueranno fino al secondo trimestre del 2015. Come sempre, si pone ora il problema di far sì che l’abbassamento dei tassi si riverberi a favore del finanziamento di imprese e famiglie, soprattutto in Italia. Riflesso non automatico, ma neppure facile, spesso accadendo che in specie le nostre banche sono pronte nell’innalzare il costo del denaro quando i tassi aumentano e lente nel ridurlo, anche per problemi di redditività, quando i tassi calano. E tuttavia le nostre banche commerciali, che già sono oggetto di critiche, per la verità non sempre fondate, per il modo in cui hanno impiegato finora l’abbondante liquidità ottenuta da Francoforte, dovrebbero avvertire il bisogno, anche per problemi di immagine, di dare un segnale nella concessione dei crediti e, per quel che riguarda le famiglie, nella erogazione dei mutui. Si sa che i problemi del credito dipendono sia dall’offerta, sia dalla domanda; sono conseguenza di ritardi e negligenze di cui ha parlato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco; chiamano in ballo i costi operativi, la governance, il patrimonio delle aziende di credito. Insomma, vi sono alla base anche cause strutturali, non certo rimuovibili con la manovra dei tassi. Tuttavia, segnali di cambiamento sono necessari anche nel costo del denaro. Diversamente, occorrerà pensare a meccanismi di premi e punizioni per la condotta delle politiche creditizie aziendali. Draghi ha tenuto a ricordare la necessità dell’irrobustimento patrimoniale delle banche. Allora il significato della decisione di ieri consiste anche in questo: la Bce sta svolgendo appieno il proprio compito; gli altri soggetti istituzionali, interni e comunitari, debbono agire avendo presenti le urgenze della crescita e dell’occupazione, nella zona-euro e nei singoli Paesi. Il Presidente della Bce ha negato che vi sia il rischio di deflazione, che sarebbe una malattia peggiore della recessione, ed ha affermato che si tratta di una fase di prolungata bassa inflazione che però non fa correre il rischio di una ”sindrome giapponese”. È da sperare che così sia e che la “trappola della liquidità” sia lontana; del resto, lo stesso Draghi ha ricordato che non si è ancora raggiunta la soglia minima dei tassi. Ma ciò che si attende ancora dalla Bce è la messa in opera di meccanismi che facciano defluire i rifinanziamenti ai prenditori di credito. È un aspetto cruciale che ben rientra nello strumentario al quale l’ex governatore della Banca d’Italia ha fatto riferimento. Naturalmente, l’azione efficiente delle politiche economiche e un mutamento della illusoria linea europea dell’austerità rappresenterebbero un fattore fondamentale che si combinerebbe virtuosamente con una misura della specie che venisse adottata dalla Bce. Così come sarebbe necessaria una linea di stretto coordinamento con le altre principali banche centrali, avendo potuto osservare da vicino gli impatti dell’indebolimento del dollaro sulla moneta unica. Insomma, dalla decisione della Banca centrale deriva anche una sferzata perché si cambi passo e si innovi ad altri livelli, internazionali, europei e interni.
L’Unità 08.11.13