Scene di rivolta fiscale all’ora di punta. I venditori ambulanti dei mercati torinesi scendono in piazza per protestare contro il rincaro della Tares, la tassa sui rifiuti, e una città rimane semiparalizzata nei suoi collegamenti ferroviari per mezza giornata. Scene di incertezza fiscale all’ora dei telegiornali. Il ministro dell’Economia avverte di come sia difficile – sempre più difficile man mano che si avvicina la fine dell’anno, anche se non impossibile – trovare le risorse per evitare che si paghi la seconda rata dell’Imu. Scene da un Paese che stenta a trovare la chiave di quella ripresa che molti annunciano ma che pochi riescono a vedere e dove proprio il carico fiscale rischia di portare alla chiusura troppe piccole e piccolissime imprese.
Chi ha bloccato ieri la stazione torinese di Porta Susa non rappresenta certo tutti i commercianti di una città, anzi alcune associazioni di produttori e negozianti hanno denunciato intimidazioni contro chi aveva deciso di continuare regolarmente la sua attività. Ma che il malessere da tasse scenda in piazza e assuma la forma di una protesta clamorosa mette in evidenza due aspetti della questione fiscale.
Il primo è che alla rivolta silenziosa e individuale dell’evasione che fino ad ora ha funzionato alla grande – ad esempio il Comune di Torino ha calcolato proprio tra i venditori ambulanti un’evasione della Tarsu, la vecchia tassa sui rifiuti, pari al 40% – si affianca adesso una dimostrazione pubblica e collettiva che cambia il senso stesso della protesta, rivendicandone la legittimità e legandola a una questione di sopravvivenza economica.
Azioni, anche clamorose, contro le tasse non sono un’esclusiva italiana. Nelle stesse ore in cui a Torino c’era chi marciava sulla stazione di Porta Susa, sulle autostrade francesi venivano abbattuti alcuni «totem» che secondo i piani del governo di Parigi – già sospesi – sarebbero dovuti servire per imporre una tassa ecologica ai Tir in transito.
Ma è invece una nostra esclusiva quel mix di incertezza e di rimpalli che da mesi alimenta le cronache dei giornali e sfinisce i contribuenti. Privati e aziende non sanno quanto dovranno pagare da qui a poche settimane e in alcuni casi – ad esempio la seconda rata Imu – non sanno nemmeno se dovranno pagare. In molti scopriranno, proprio con il saldo di dicembre della nuova Tares, quanto peseranno sui loro bilanci gli aumenti decisi dai Comuni.
Questo ci porta al secondo aspetto della questione fiscale, che riguarda la sostanza politica del governo delle larghe intese. Sottoposto fin dall’inizio alle tensioni di forze divergenti – specie e soprattutto sulle tasse, partendo dalla promessa elettorale del centrodestra di abolire l’Imu – non c’è ovviamente da stupirsi se sul Fisco maggioranza e esecutivo non sembrino in grado di trovare una sintesi soddisfacente, ma procedano più che altro per tentativi ed errori. La Legge di Stabilità ha evidenti limiti, legati specialmente alle risorse limitate che può mettere in campo. Ma le richieste – chiamarle proposte sarebbe troppo – che arrivano da destra e da sinistra, specie per una maggior riduzione del cuneo fiscale, sono accomunate da un’assoluta leggerezza nell’identificare le coperture per le maggiori spese. Il populismo fa paura a molti, ma un peso delle tasse che non cala e una giungla fiscale che si fa sempre più intricata sono l’habitat migliore per farlo crescere ancora.
La Stampa 06.11.13