partito democratico

“Fondazioni, associazioni, ma chi pensa al Partito?”, di Marina Sereni

Ma se tutti si occupano di una fondazione, di un’associazione, di una corrente rimescolata o non, chi è che si occupa del PD? Stamattina aprendo uno dei maggiori giornali italiani (certamente uno tra i più letti tra gli elettori del PD) mi è sorta spontanea questa domanda. Non sono una novizia della politica e non sono neppure “ideologicamente” contraria ad un partito in cui il pluralismo si organizza.
Però ora temo davvero che si stia esagerando.
Chi è che costruisce il partito sul territorio? Chi è che torna a  parlare con gli operai, con le casalinghe, con gli insegnanti, con gli artigiani, i commercianti,  i piccoli imprenditori, con i giovani precari? Cioè con quelle “persone normali” che ogni giorno si confrontano con “problemi normali” che spesso sfuggono alla nostra agenda politica (finché non ce li mette Tremonti o la Lega, diventano oggetto di qualche acuto editoriale o best-seller, e dunque della nostra riflessione critica)?
Dov’è che discutiamo TUTTI INSIEME di come si fa l’opposizione alla prossima manovra finanziaria del governo che non affronta i problemi veri delle condizioni di vita reali di tante famiglie ma gioca su slogan efficaci e rischia di essere difficile da contrastare nel Paese, oltre che in Parlamento?
L’impressione è che tutti siamo insoddisfatti della situazione del PD e che invece di cercare di renderla migliore TUTTI INSIEME (la qual cosa implica anche che alcuni siano disposti a lavorare senza essere necessariamente “visibili”) ognuno cerchi la vetrina più appropriata: l’associazione contro le correnti, la corrente del rimescolo, il rimescolo delle correnti, i quarantenni ormai quasi cinquantenni, i trentenni vittime dei quarantenni vittime dei cinquantenni, gli ex meno ex degli ex…. Aiuto!
A Veltroni, ai membri del coordinamento, ai ministri ombra, a me stessa, a tutti quelli che nel PD hanno qualche incarico piccolo o grande chiedo di fermarsi un attimo, prendere l’agenda, cominciare ad organizzare una miriade di incontri nei circoli del PD, nelle fabbriche, nei quartieri, nei borghi… Andiamo a sentire cosa ci chiedono gli elettori e le elettrici che il 13 aprile ci hanno scelto: sono loro i nostri “danti causa”, o no? Vogliamo ripartire da lì? Lo so, qualcuno (più bravo di me a scrivere discorsi, pensare dotte riflessioni, elaborare documenti) dirà che non basta, che abbiamo bisogno di un’identità e di un pensiero in grado di affrontare le grandi sfide poste dalla modernità e dalla globalizzazione. Lo so. Ma ora bisogna “riattaccare la spina”, bisogna tornare a parlare con la nostra gente, metterci di nuovo la faccia, corrispondere alla responsabilità che ci siamo presi quando abbiamo chiamato milioni di persone a votare alle primarie.
C’è bisogno di una nuova classe dirigente, anche dal punto di vista generazionale, nel PD? Può darsi, ci sono tante risorse nuove che sono arrivate alla politica in questi mesi e anni, spesso cooptate perché scelte da questo o quel dirigente nazionale e non per questo meno capaci e interessanti: ora alcune di queste energie sono nei gruppi parlamentari, nel governo ombra, dirigono il partito sul territorio, hanno incarichi di rilievo nel partito nazionale. Perché invece di mettersi/metterle alla prova nella costruzione del PD si cerca di incasellarli in qualche contenitore? Boh! A me è capitato alcuni anni fa di entrare in una segreteria nazionale (allora nei DS di Fassino dopo la sconfitta del 2001). Neppure per un momento ho immaginato di essere là perché ero la più brava… Ho pensato di dover dimostrare di saper fare qualcosa, di poter essere utile ad un disegno, ad una faticosa ma possibile “risalita”. Non è moralismo, il mio, è un allarme per quello che vedo intorno a noi, è un richiamo, prima di tutto a me stessa, a superare il disorientamento e a mettere al primo posto il progetto politico del PD (e solo al secondo le altre, pur legittime, aggregazioni).

 

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