È l’«esercito» dei migranti politici. Fuggono da guerre civili, conflitti tribali, pulizie etniche. Le fila di questo «esercito» crescono di giorno in giorno. Perché crescono di giorno in giorno le aree di guerra, di sofferenza. L’inferno in terra: Siria, Somalia, Eritrea, Darfur, Libia, l’Africa subsahariana…Le più autorevoli organizzazioni umanitarie concordano nell’indicare, in difetto, il bacino di questo «esercito» di potenziali asilanti: 10-15 milioni. Per avere idea di quale miliardario giro d’affari, per le organizzazioni criminali, potrebbe determinarsi attorno a questo «esercito» di esclusi, basta pensare che oggi, per salire su un boat people e partecipare alla roulette del mare, le mafie del traffico di esseri umani, fanno pagare una cifra, a persona, che varia dagli 8mila ai 12mila dollari. Questa cifra, di per sé mostruosa, di 10-15 milioni, è solo una parte del numero complessivo di rifugiati, ormai arrivato a superare i 45 milioni, stando al rapporto Onu Global Trends 2013. Quell’esercito è stato accresciuto dalla guerra civile siriana.
LE CIFRE DI UNA TRAGEDIA
L’Unione europea deve prepararsi a un «afflusso massiccio» di profughi siriani. A lanciare il monito, ieri, a nome della Commissione europea, è stato il vice presidente Michel Barnier durante in dibattito al Parlamento europeo sulla Siria. «Dobbiamo prepararci alla possibilità di un afflusso ancora più massiccio», avverte Barnier, sottolineando come il crescente arrivo dei profughi siriani registrato in diversi Stati membri «non è più una questione strettamente nazionale, ma una questione europea». «La risposta non si trova certamente nella chiusura delle nostre frontiere nazionali, nel raggomitolarsi in se stessi o in un atteggiamento da barricate, non sarebbe nell’interesse dell’Europa ha aggiunto ogni crisi di questa portata ci riguarda tutti e dovremmo essere pronti in uno spirito di maggiore solidarietà». Sono oltre due milioni i profughi registrati dall’Onu nei Paesi confinanti con la Siria, numero che dovrebbe toccare i 33,5 milioni entro la fine dell’anno. L’Alto commissario Onu per i rifugiati ha chiesto all’ Europa di accogliere 10.000 siriani.
Dalla Siria all’Eritrea. Altro bacino in crescita per l’esercito di migranti «politici». La mancanza di una politica per l’Eritrea da parte dell’Europa garantisce al regime autoritario di Isayas Afewerki, stabilmente al potere da 20 anni, la legittimazione per reprimere ulteriormente la libertà di stampa, di opinione, di riunione e di credo religioso. Ancora oggi l’Eritrea in tema di libertà di stampa è all’ultimo posto su 179 Paesi. Nel suo ultimo rapporto annuale, Amnesty International descrive l’Eritrea come un Paese dove «l’arruolamento militare nazionale è rimasto obbligatorio e spesso esteso a tempo indeterminato. È rimasto obbligatorio anche l’addestramento militare per i minori. Le reclute sono state impiegate per svolgere lavori forzati. Migliaia di prigionieri di coscienza e prigionieri politici hanno continuato ad essere detenuti arbitrariamente in condizioni spaventose. L’impiego di tortura ed altri maltrattamenti è stato un fenomeno diffuso. Non erano tollerati partiti politici d’opposizione, mezzi di informazione indipendenti od organizzazioni della società civile. Soltanto quattro religioni erano autorizzate dallo Stato; tutte le altre erano vietate e i loro seguaci sono stati sottoposti ad arresti e detenzioni». Per Amnesty, sono questi i motivi principali che inducono cittadini eritrei a continuare a fuggire in massa dal Paese, delle dimensioni di un terzo dell’Italia e con meno di cinque milioni di abitanti. Ma nemmeno lasciare l’Eritrea è semplice. Sempre Amnesty spiega che «per coloro che venivano colti nel tentativo di varcare il confine con l’Etiopia è rimasta in vigore la prassi di “sparare per uccidere”. Persone colte mentre cercavano di varcare il confine con il Sudan sono state arbitrariamente detenute e duramente percosse. Familiari di persone che erano riuscite a fuggire sono state costrette a pagare multe per non finire in carcere».
SOMALIA
La situazione è, se possibile, ancora peggiore in Somalia. Secondo un recente rapporto di Caritas Somalia, almeno 1,2 milioni sono gli sfollati interni a cui si aggiunge un milione di rifugiati che hanno trovato asilo nei Paesi limitrofi (Eritrea, Etiopia, Kenya, Uganda, Tanzania, Gibuti e Yemen). Quella in Somalia è una delle più lunghe e gravi crisi di rifugiati al mondo. Nell’ultimo decennio rileva l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati(Unhcr) solo altri tre conflitti, quelli in Afghanistan, in Iraq e ora in Siria, hanno costretto più di un milione di persone a fuggire dalle proprie case. Indicativo è la conclusione di una ricerca dell’Unhcr: a provocare le migrazioni è soprattutto l’incubo della guerra. Lo dimostra il fatto che 55 rifugiati su cento vengono da cinque Paesi coinvolti nei conflitti: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria, Sudan. Importanti nuovi flussi si registrano anche in uscita da Mali, Repubblica Democratica del Congo e dal Sudan verso Sud Sudan ed Etiopia dal Mali e dal Congo RDC. Durante il 2012, 7,6 milioni di persone sono state costrette alla fuga, di cui 1,1 milioni hanno cercato rifugio all’estero e 6,5 milioni sono rimaste all’interno del proprio Paese. Ogni 4,1 secondi una persona nel mondo diventa rifugiato o profugo interno.
L’Unità 10.10.13