Nonostante la penosa giravolta di Berlusconi, degna dell’avanspettacolo più decadente, ieri si è aperta una nuova fase politica. Il governo Letta non ha più una maggioranza larga ma «senza intese»: ora c’è una parte del Pdl disposta a condividere l’obiettivo della presidenza italiana dell’Ue, a riformare il sistema politico prima di tornare al voto, soprattutto a contrastare la linea della rottura istituzionale che Berlusconi ha adottato dopo la condanna definitiva. Il Cavaliere, alla fine, ha votato lo stesso la fiducia al governo. Ma è stato sconfitto. Voleva la crisi e non c’è riuscito. La sua piroetta è stata un tentativo estremo di inquinare il senso della giornata.
Berlusconi è rientato dalla finestra nella maggioranza numerica: di questa, tuttavia, è ora un’appendice sgradita e non necessaria. A sconfiggerlo è stato il delfino senza «quid» che – insieme ai ministri Pdl del governo, a uomini della vecchia guardia e a dirigenti allevati nel berlusconismo – ha deciso di non seguire il capo sulla rotta del radicalismo pupulista, della destra anti-europea e anti-sistema. Berlusconi è stato battuto per la prima volta all’interno, come testimonia la ribellione di una quarantina di senatori e la goffa, anzi ridicola, retromarcia dell’ultimo minuto, dopo che per giorni il cerchio magico di Arcore aveva annunciato ai quattro venti la fine del governo.
E comunque la trovata del voto di fiducia rappresenta un tentativo di avvelenare i pozzi. Il Cavaliere ha bloccato – forse solo tempora- neamente – una scissione che era in atto. E c’è da scommettere che già da ieri, nonostante l’umiliazione subìta, abbia ricominciato a tessere la sua trama nella speranza di ricomprarsi senatori incerti e di rimontare dal precipizio politico in cui è finito. Fece così al tempo dello strappo di Fini: c’è da pensare che lo farà ancora. Una scissione definitiva ieri avrebbe rafforzato assai di più il governo Letta. In qualche modo, il voto a favore è stato l’atto più destabilizzante che Berlusconi, nelle condizioni di ieri, poteva compiere ai danni di Letta.
Non era vero, come tanti hanno sostenuto, che questo governo fosse un’assicurazione per Berlusconi: la condanna penale alla fine è arrivata secondo le vie autonome dell’ordine giudiziario e nessun salvacondotto speciale è stato, ovviamente, possibile. Non era vero neppure che Berlusconi sarebbe rimasto comunque aggrappato al governo: piuttosto, il governo era e resta una chance nelle mani di chi vuole uscire dalla palude della seconda Repubblica e chiude- re finalmente la stagione berlusconiana. Una chance per un nuovo centrosinistra, e per un nuovo centrodestra.
Chissà se avranno la forza e la capacità di coglierla. Perché ora che è dimostrata l’infondatezza delle tesi uguali e contrarie, andate per la maggiore in questi mesi – da una parte l’«inciucio» narrato dai vari Grillo e Travaglio, dall’altra la «pacificazione» invocata dai berluscones che, indifferenti ai drammi sociali del Paese, avevano come unico scopo esonerare il capo dalla condanna definitiva per i gravi reati commessi – resta tuttavia la grande difficoltà dell’impresa. Il governo Letta è uno strumento di battaglia politica, come è stato fin qui un terreno di battaglia politica. Non è scontato l’esito. La nascita di una nuova maggioranza politica (senza Berlusconi) priverà comunque il Senato di numeri importanti. E la scelta di ieri di Berlusconi contiene una minaccia, oltre che un pericoloso margine di ambiguità: che Alfano e i suoi siano capaci di tenere botta, e di perseguire gli obiettivi strategici, è tutto da dimostrare.
Ma, di certo, l’Italia non può permettersi ulteriori incertezze o rinvii. Noi cittadini, e soprattutto i più deboli, abbiamo pagato già a caro prezzo la strategia del logoramento messa in atto dal Cavaliere, quando ha capito che non c’era alternativa alla sua decadenza da senatore. A lui si deve l’aumento dell’Iva e l’aumento dei tassi di interessi sul debito: denaro contante sottratto alle tasche degli italiani, delle loro famiglie e delle imprese. Berlusconi non ha più alcuna spinta propulsiva, né alcun progetto. La sua forza residua si esercita solo in negativo: minaccia di mandare l’Italia in malora.
Dopo il voto di ieri, Letta dovrà cambiare passo. Berlusconi non è più un suo interlocutore. Ora la sfida della destra è sulle spalle di Alfano e dei ministri che hanno sconfitto il Cavaliere nel passaggio drammatico di questa crisi. Può darsi che la stessa vittoria di Angela Merkel, di cui è noto il disprezzo per il berlusconismo, abbia avuto un’influenza indiretta sulla vicenda italiana. Le forze popolari europee non possono permettersi di avere come rappresentante in Italia un signore che non accetta lo Stato di diritto, e anzi usa il suo potere per ricattare le istituzioni e il Paese. Alfano e i suoi hanno un compito difficilissimo, e forse non sono neppure pronti ad affrontare il radicalismo ormai diffuso e preponderante nella loro area elettorale di riferimento.
Ma un compito decisivo sarà anche quello della sinistra. Che deve tenere insieme il proprio ruolo nazionale e una capacità di proget- to, che finora, onestamente, è stata molto carente. Il congresso del Pd sarà un’occasione. Se si ridurrà a una battaglia di leader, ecco, sarà un’occasione sprecata. Ci sono paradigmi da rivedere, novità da attraversare, linguaggi da imparare, solidarietà da ricostruire. C’è una società sofferente oltre il dominio della finanza sulla democrazia. Questa è la prova. Il governo Letta può essere un alleato del Pd e della sinistra che vuole rinnovare se stessa e l’Italia. Usiamolo bene fino alle elezioni del 2015. Facciamo in modo che si pongano basi solide a un cambiamento vero e che nel 2015 il voto degli italiani non sia di nuovo nullo. Altrimenti esulteranno solo i Berlusconi e i Grillo.
L’Unità 03.10.13