Il Regolamento che rinnova il Sistema Nazionale di Valutazione è giunto nei mesi scorsi sulle pagine della Gazzetta Ufficiale (DPR 28 marzo 2013, n. 80 in Gazz. Uff. n. 155 del 4-7-2013). Può dunque dispiegare i suoi effetti nella vita della scuola. Ma non tutto è sereno sul fronte della valutazione, le polemiche non mancano (sui contenuti del provvedimento, sulla sua tempistica, sull’architettura del sistema, sul ruolo dei diversi soggetti). Lo stesso Ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza è intervenuta a chiarire che l’attuazione del Regolamento dovrà essere l’occasione per re-interrogarsi sul significato e la presenza della valutazione nel nostro sistema educativo, da finalizzare ad una migliore conoscenza del suo funzionamento, a responsabilizzare i diversi soggetti (dagli allievi ai docenti, dai dirigenti ai responsabili politici) verso il miglioramento dei risultati e la qualità dell’istruzione. Dunque quale sarà l’impatto del nuovo Regolamento nelle prossime vicende scolastiche? Vediamo di ricostruire gli elementi fondamentali di uno scenario in forte movimento.
Molte (troppe?) novità per la valutazione
La scuola non si “fida” della valutazione. Ne capisce l’importanza, a tutti i livelli (per gli allievi, gli apprendimenti, l’organizzazione, le professionalità), ma quando si passa alle realizzazioni concrete prevalgono la diffidenza e il disagio. Anche alcuni grandi “maitres à penser” (e non solo sindacati “scapigliati”) si scagliano con virulenza contro l’Invalsi (l’istituto nazionale delegato a svolgere compiti di valutazione di sistema). Come mai questo stato d’animo così polemico? Il fatto è che spesso la valutazione è stata associata ad una visione punitiva, classificatoria, competitiva nel rapporto tra le persone e l’organizzazione di appartenenza. Questo è avvenuto anche negli ultimi anni, quando nel nostro paese si è cercato di sviluppare una diversa cultura della valutazione. Le novità in materia di valutazione sono state tante, forse eccessive, e spesso veicolate da provvedimenti normativi approvati per decreto legge e senza un pubblico dibattito. Ricordiamone alcune:
– la generalizzazione delle prove Invalsi (censuarie) e l’inserimento di una prova nazionale strutturata all’interno dell’esame di licenza media (Legge 176/2007);
– la reintroduzione del voto in decimi nella scuola di base, il ripristino del “voto in condotta”, la certificazione delle competenze (legge 169/2008);
– l’introduzione della valutazione delle pubbliche amministrazioni e delle performances individuali e organizzative (d.lgs 150/2009, c.d. decreto Brunetta);
– la riconfigurazione del sistema nazionale di valutazione (SNV), con la previsione di una valutazione “esterna” di scuole e dirigenti (Legge 10/2011 e Regolamento SNV con il citato DPR 80/2013).
Si tratta di un pacchetto “consistente” di novità, che la scuola ha subìto passivamente, piuttosto che agito da protagonista. Si pensi all’impatto delle prove Invalsi, che spesso determina comportamenti opportunistici nelle scuole (il cd. cheating) o invita i docenti al “teaching to the test”. Bene hanno fatto le Indicazioni/2012 per il primo ciclo a mettere in guardia contro una didattica finalizzata all’esclusivo superamento dei test. Ciò significa considerare le prove Invalsi come uno strumento utile, ma non esclusivo, per meglio interpretare i meccanismi dell’apprendimento, le conoscenze fondamentali, i processi didattici. La somministrazione censuaria delle prove sembra comunque utile (ma non tutti sono d’accordo) perché consente ad ogni scuole di disporre di informazioni preziose sugli apprendimenti, informazioni che però dovranno essere utilizzate con molta cautela, sia all’interno della scuola, sia -a maggior ragione- verso l’esterno.
La via della “sperimentazione”
La cultura della valutazione (a livello di sistema educativo) richiede di chiarire il rapporto tra autovalutazione (o valutazione interna) e valutazione esterna, di affrontare lo “snodo” tra valutazione e miglioramento, di prendere in considerazione il sistema di incentivi-premi e comunque le conseguenze che possono essere associate ai processi valutativi.
Le sperimentazioni avviate in questi ultimi anni possono aiutare a chiarire questi nodi. Ci riferiamo in particolare al progetto VALES (Valutazione e Sviluppo scuole), che sembra essere stato gradito –una volta tanto- da un’ampia platea di istituzioni scolastiche (oltre 600, di cui 300 impegnate ufficialmente nella ricerca). Nel progetto sono stati apprezzati:
a) l’assenza di un sistema premiale/competitivo e, viceversa, l’erogazione di finanziamenti a tutte le scuole partecipanti, per favorirne l’impegno;
b) l’inserimento nel programma di valutazione della performance del dirigente scolastico (come “interprete” e “leader” della propria comunità professionale, e non solo come organo “monocratico);
c) la finalizzazione esplicita delle diverse fasi del processo di valutazione alle azioni di miglioramento;
d) l’accentuazione della dimensione autovalutativa, come spinta al protagonismo dei soggetti “interni” e all’assunzione di responsabilità da parte della scuola per il proprio sviluppo.
Questi criteri, di cui c’è traccia anche nel nuovo Regolamento sul sistema nazionale di valutazione, sembrano dunque accantonare la logica competitiva suggerita in precedenza (cfr. Progetti “Valorizza” e “VSQ”) per sposare invece altri orientamenti maturati a livello europeo, come ad esempio il modello CAF-Common Assessment Framework, cioè la capacità di autoanalisi delle organizzazioni pubbliche, incentrate su processi autovalutativi accompagnati da azioni di audit e/o monitoraggio esterno, sulla base di indicatori quali-quantitativi per la descrizione del funzionamento di una istituzione, nel nostro caso formativa. Molte esperienze costruite dal basso (marchio Saperi, rete Avimes, rete AIR, rete Faro, iniziative AICQ, ecc.) sembrano suggerire una “via italiana” alla qualità dell’istruzione, strategia che andrebbe valorizzata per costruire un maggiore consenso attorno agli sviluppi del sistema di valutazione.
Le coordinate del nuovo regolamento
Pur accolto tra molte polemiche e “distinguo” il nuovo Regolamento sul sistema di valutazione si innesta nell’alveo di questa cultura. Certamente la parte innovativa del regolamento è la previsione di un’azione di valutazione esterna delle scuole. Si tratta di un tassello mancante nel nostro sistema, mentre fin dall’attribuzione dell’autonomia (art. 21 della legge 59/1997) si faceva carico ad ogni scuola di rendere conto della propria produttività culturale. E’ stato un principio in larga parte disatteso dalle scuole, visto il mancato obbligo di adottare procedure di autovalutazione o di dotarsi di un proprio “bilancio sociale”. Esistono esempi diffusi di autovalutazione (anche in rete), si trovano buone esperienze di “rendicontazione sociale”, ma è mancato un vero e proprio impegno di sistema.
Nel regolamento sul SNV questo principio di responsabilità si comincia a scorgere, nella connessione indispensabile tra:
– pratiche di autovalutazione (anche sulla base di un input che arriva da indicatori e dati forniti dal centro: prove Invalsi, “scuola in chiaro”, questionari di sistema, customer satisfaction, ecc.);
– momenti di verifica esterna “in situazione” (oggi relegati a faticosi e sporadici interventi ispettivi nel campo delle patologie più evidenti e dunque troppo tardivi);
– azioni di miglioramento (spesso lasciati alle dinamiche volontaristiche degli istituti);
– espressione di giudizi e apprezzamenti (una pagella per le scuole, hanno semplificato i giornali, ma la questione va affrontata con più delicatezza);
– forme di trasparenza e rendicontazione pubblica (apparentemente scontata, ma non scevra di qualche rischio).
Insomma, emerge dall’articolato del nuovo Regolamento (ma mancano ancora i decisivi protocolli sulla cui base condurre le indagini nelle scuole), un’idea di valutazione finalizzata al miglioramento, ove la competizione è semmai con sé stessi, per una scuola che diventa consapevole dei propri punti di forza così come delle proprie criticità, attraverso l’analisi di informazioni comparabili su base più ampia. Il confronto con un punto di vista “esterno” può aiutare a superare la propria autoreferenzialità. L’obiettivo, alla fine, è quello di stimolare ogni istituzione scolastica a dare il meglio di sé, a raggiungere standard ottimali di funzionamento (che dovranno però essere resi espliciti), a produrre risultati soddisfacenti in termini di apprendimento degli allievi, tenendo conto dei diversi contesti (il c.d. “valore aggiunto”).
Cosa valutare, di una scuola?
Nell’impianto di un sistema di valutazione esterna delle scuole è decisiva l’articolazione e la struttura dei protocolli di visita, mentre non se ne trova traccia nel Regolamento. Tutto è demandato all’Invalsi senza che il legislatore abbia espresso indirizzi portanti sulle priorità degli elementi da osservare. Un conto è mettere a fuoco le aree di eccellenza (per incentivarle ulteriormente), un altro è curvare l’analisi sulle aree di criticità (per favorirne il superamento)? La direzione della valutazione non è questione di poco conto.
Un protocollo di valutazione dovrà considerare le diverse dimensioni didattiche, progettuali, organizzative e gestionali delle istituzioni scolastiche. Le aree di osservazione faranno riferimento ad alcuni aspetti fondamentali del funzionamento di una scuola, quali:
a) apprendimenti, eccellenze e dispersione:
– apprendimenti degli allievi (rilevati attraverso prove strutturate nazionali, prove elaborate a livello locale o di istituto, elementi di valutazione “autentica”, portfolio e dossier);
b) partecipazione e inclusione degli studenti alla vita di istituto:
– partecipazione, comportamento, iniziativa degli allievi, clima sociale dell’istituto, pratiche inclusive, spirito di collaborazione, responsabilità sociale;
c) organizzazione didattica e innovazione tecnologica:
– modelli organizzativi e didattici, qualità delle metodologie, impiego di tecnologie digitali e multimediali, articolazione dei gruppi, didattiche laboratoriali, utilizzo di risorse culturali esterne;
d) professionalità, ricerca, valutazione e documentazione:
– organizzazione della comunità professionale, sviluppo professionale, iniziative di ricerca formazione e documentazione; disponibilità alla valutazione interna ed esterna della qualità del lavoro;
e) rapporti con la comunità scolastica e il territorio:
– rapporti, gradimento e soddisfazione dei diversi soggetti della comunità scolastica, con particolare riferimento agli studenti, ai genitori, ai rappresentanti della comunità sociale (stakeholder, enti locali, ecc.), e relative procedure di rendicontazione;
f) stili di leadership e processi decisionali:
– ruolo del dirigente scolastico (e dello staff di direzione) in relazione alla gestione delle risorse umane, alla promozione culturale e professionale, alle dinamiche relazionali e comunicative, al sistema delle decisioni;
g) servizi gestionali e di supporto:
– gestione dei servizi amministrativi, tecnici, ausiliari e di supporto, in rapporto all’efficacia ed efficienza delle procedure di gestione delle risorse finanziarie e strumentali.
L’analisi dell’organizzazione scolastica viene compiuta dai nuclei di valutazione attraverso incontri, audizioni, sopralluoghi, visite a classi e laboratori, acquisizione di documentazione. Gli indicatori di performance e gli standard di riferimento (descritti in apposite rubriche) dovranno consentire l’apprezzamento di evidenze circa il funzionamento dell’istituto.
Ma chi saranno i valutatori delle scuole?
Gli orientamenti normativi più recenti (dalla Legge 10/2011 al Regolamento SNV) attribuiscono al corpo ispettivo la funzione di valutazione esterna delle scuole, prevedendo che un apposito contingente di ispettori si impegni in questo compito (in tale direzione si muove anche il recente decreto-legge 104/2013 che “sblocca” la nomina di nuovi Ispettori). Questa prospettiva si scontra però con molte difficoltà pratiche e teoriche:
a) il servizio ispettivo italiano è ridotto al lumicino (circa 30 ispettori in servizio sui 300 in organico), dopo anni di disinteresse. L’attuale concorso (che per altro focalizza il profilo su competenze giuridiche e procedurali) non sembra garantire un sufficiente ricambio;
b) la visita alle scuole dovrebbe essere compiuta da equipe multi-professionali, in grado di apprezzare le diverse variabili in gioco nel funzionamento delle scuole; ad esempio, occorre prestare attenzione, da un lato, alla dimensione gestionale e organizzativa e, dall’altro, agli aspetti di funzionamento didattico e quindi alle caratteristiche dell’offerta formativa;
c) manca in Italia un profilo di valutatore, se si eccettua qualche progetto pilota realizzato dall’Invalsi, prevalentemente nelle regioni del Sud e l’ormai vetusta esperienza dei monitoraggi MIUR-IRRE (Monipof, Moniform) connessi all’avvio dell’autonomia scolastica attorno agli anni duemila;
d) resta da risolvere la dicotomia tra funzioni di valutazione e funzione di accompagnamento-miglioramento che, al momento, sono state nettamente separate e ricondotte le prime all’Invalsi e le seconde all’Indire;
Si fa strada l’idea che gli ispettori coordineranno i team di valutazione, composti da altre professionalità, provenienti dall’interno e dall’esterno della scuola. In tal senso si è mosso l’INVALSI per reclutare attraverso un apposito Bando le figure da utilizzare per gli interventi nelle scuole “VALES” oggetto di valutazione esterna. Ma, al di là delle sperimentazioni che riguardano un piccolo numero di scuole, occorre soppesare impatto, costi, praticabilità di un sistema che voglia essere presente in tutte le scuole italiane (circa 9.000) e non limitarsi ad intervenire solo in quelle che presentano criticità.
Un buon modello di riferimento è l’OFFSET inglese, l’ufficio per il controllo degli standard in educazione, affidato agli Ispettori di ”sua maestà”. Il servizio ispettivo riesce a garantire un sistema di visite generalizzate alle scuole, che si concludono con il rilascio di un report valutativo che rappresenta la base conoscitiva per ulteriori interventi. Ma altri paesi hanno adottato strategie in cui prevalgono figure di sistema che abbinano alla funzione ispettiva quella di supervisione ri-orientamento delle pratiche professionali. In Australia è stato addirittura coniata una nuova professionalità, quelle del network leader, come “agente di innovazione” e figura di raccordo e di stimolo alla progettualità delle scuole di una certa area territoriale.
Alcuni nodi da sciogliere
Il tema della valutazione ne richiama altri, perché è al crocevia di molte questioni per lo sviluppo del nostro sistema. Il dibattito che si è sviluppato a seguito dell’adozione del nuovo Regolamento si è accentrato attorno ad alcuni nodi irrisolti. Li analizziamo in breve:
a) il ruolo centrale attribuito all’INVALSI. Dall’articolato emerge la posizione di preminenza che l’Invalsi è venuto assumendo attraverso l’evoluzione del quadro normativo (dalla legge 10/2011 alla legge 35/2012, fino alla legge 111/2012). Si è voluto assicurare all’Istituto non solo la funzione tecnica di “rilevazione degli apprendimenti” (come era nella tradizione dell’Invalsi), ma la regia dell’intero sistema, per il quale viene costituita una cabina di regia “guidata” dal Presidente dell’Invalsi. In essa il rappresentante del MIUR (il servizio ispettivo) assume un ruolo che appare marginale. Resta dunque aperto il tema della “terzietà” del sistema di valutazione rispetto al potere esecutivo e all’amministrazione, da un lato, e il necessario rapporto tra le scelte di indirizzo politico-culturale (la scuola che vogliamo per il nostro paese) ed il ruolo “tecnico” dell’Invalsi. La Direttiva del Ministro all’Invalsi rappresenta al momento la strada maestra per definire tali indirizzi (la più recente risale all’autunno 2012: la Direttiva n. 85 del 12-10-2012);
b) il peso eccessivo attribuito alle prove Invalsi. Se il sistema si apre ad altri indicatori (il funzionamento della scuola, la cultura organizzativa, la professionalità degli operatori, il legame con il territorio, ecc.) il “peso” dei test dovrebbe diminuire, perché si affacciano sulla scena altri valori, altri oggetti di analisi, cioè i fattori che possono influire su (una parte) dell’apprendimento. Questo per evitare l’indesiderato “teaching to the test”. E’ però ovvio che i risultati degli apprendimenti, quelli misurati dall’Invalsi, ma anche quelli rilevati in altro modo dalla scuola, avranno un loro peso nella valutazione della qualità di una scuola (magari al netto del valore aggiunto), ma saranno inseriti nel contesto più ampio delle caratteristiche di una scuola, come già appare nel quadro di riferimento dei protocolli VALES e nell’indice del RAV, il rapporto di autovalutazione che è stato predisposto in questi mesi dai dirgenti neo-assunti e dalle scuole Vales;
c) le caratteristiche dell’autovalutazione. C’è un consenso generalizzato sull’importanza dell’autovalutazione, ma poi le modalità per realizzarla sono diverse. Ha destato preoccupazione, nelle prime prove tecniche promosse da Invalsi e MIUR, la rigidità degli strumenti proposti. L’autovalutazione deve considerare i risultati dei test Invalsi, i dati strutturali di “Scuole in chiaro”, i questionari predisposti per la customer satisfaction, un questionario nazionale di sistema… Sembra venire meno quell’autonomia delle scuole nelle pratiche autovalutative che ne fanno uno strumento duttile e legato ai diversi contesti. E’ vero che un “dato” si capisce solo se è collocato in un “range”, se ci si confronta con situazioni più ampie, se ci si posiziona in un quadro di riferimento prestabilito (benchmarking), ma il rischio di una competizione al ribasso è dietro l’angolo e rischia di “falsare” le carte o di indurre a comportamenti opportunistici. Ben venga il confronto, ma dovrebbe essere soprattutto con se stessi, con i risultati precedenti, con l’evoluzione della situazione, da collegare alle scelte consapevoli che si vengono compiendo in una scuola;
d) la pubblicità dei dati. A gran voce si reclamano trasparenza, tracciabilità, documentazione, open data, accesso pubblico a tutte le informazioni di interesse per gli utenti e gli stakeholder. Ma in materia di istruzione la cautela è d’obbligo. Occorre soppesare gli effetti indesiderati di una diffusione immediata dei risultati dei test, perché non rappresentano tutto il valore di una scuola, anzi rischiano di portare fuori strada e di semplificare tutto. Si potrebbero accentuare le differenze tra scuole buone e scuole scadenti, mandare in crisi certe istituzioni (per farne che, poi?), accentuare la non equità del nostro sistema (se i genitori scegliessero in base alle loro condizioni o convinzioni sociali). Bene ha fatto in questi anni l’Invalsi a blindare la pubblicazione dei dati (anche se negli ultimi mesi questa convinzione sembra essersi appannata), riservandoli alla conoscenza ed alla gestione delle singole scuole. Ben altro è il concetto di rendicontazione sociale, cioè la responsabilità della scuola nel render conto dei propri risultati correlandoli alle risorse disponibili, ai dati di contesto, al lavoro effettivamente svolto. Un bilancio sociale non coincide con la pubblicazione di qualche tabella.
Questi nodi sono appena sfiorati dal testo del nuovo Regolamento, ma andranno sciolti con accortezza, se vogliamo che l’avvio del sistema di valutazione sia un’occasione di sviluppo e miglioramento della scuola e non dia luogo a quelle reazioni difensive che hanno quasi sempre accompagnato nel nostro paese l’introduzione di innovazioni in materia di valutazione.
da Notizie della Scuola