C’è una compulsiva attitudine della politica italiana che meriterebbe l’attenzione di uno specialista freudiano. Quella di farsi del male – e soprattutto di fare del male al Paese – nel momento peggiore, nel momento in cui le scelte rischiano di produrre il massimo del danno. È accaduto due anni fa, quando le tensioni tra Berlusconi e Tremonti hanno portato a una crisi di credibilità proprio mentre i mercati chiedevano il massimo della fiducia, si è ripetuto l’anno scorso quando nel corso dell’approvazione della legge di stabilità il Pdl ha di fatto tolto la fiducia a Monti, torna ad accadere quest’anno, con il governo Letta che è a un passo dalla crisi proprio alla vigilia di prove cruciali per la tenuta della nostra economia. È bene che lo si sappia con il massimo della chiarezza: questi sono i giorni peggiori per aprire una crisi. Basterebbe leggere il rapporto del Fondo monetario internazionale reso noto proprio ieri: «Ritardi nella politica potrebbero minare la fiducia spingendo l’Italia in un contesto negativo di rialzo dello spread, difficoltà di finanziamento delle banche e peggioramento dell’economia». Una spirale negativa, quella paventata dal Fmi, che potrebbe compromettere il ritorno del Pil al segno positivo nell’ultimo trimestre dell’anno. Gli economisti di Barclays stimano l’effetto crisi in una mancata crescita di due decimali di Pil negli ultimi tre mesi del 2013, con la conseguenza di portare a flat l’attuale stima di +0,2%. Un arretramento frutto di un inevitabile rinvio almeno al prossimo trimestre delle scelte di investimento delle imprese e dell’ulteriore gelata dei consumi, conseguenza di una fiducia ancora una volta tradita. Il campanello d’allarme, come sempre, arriva in queste ore dallo spread. Con i 14 punti di differenziale accumulati rispetto ai Bund tedeschi nella sola giornata di ieri. Il mercato è tornato inquieto verso i titoli italiani. E sarebbe un grave errore scambiare il recente periodo di sereno con un bel tempo stabile. Tanto più che l’Italia ha ancora 46 miliardi di titoli a medio e lungo termine da emettere sul mercato entro la fine dell’anno. Ma non sono solo i tassi. L’allarme viene da una questione industriale che si pone in tutta la sua evidenza proprio in queste ore attraverso le vicende tormentate di Telecom, Alitalia, Ilva. Casi (anche i primi due) che nulla c’entrano con un paventato assalto straniero ai nostri “gioielli”, ma che sono piuttosto l’esito di fallimentari scelte politiche e industriali e che richiederebbero, adesso più che mai, un governo capace di sostenere strategie industriali forti. Ci sono poi le scadenze che incrociano in modo sempre più stringente impegni europei e scelte di politica economica nel corso delle prossime settimane. A cominciare dalla data del 15 ottobre per approvare quella legge di stabilità cui è stata delegata tutta la strategia di rilancio economico, a cominciare dal taglio del cuneo fiscale. Una legge di stabilità che, in base alla nuova governance europea sottoscritta dall’Italia, dovrà poi essere approvata entro metà novembre in sede europea, in un confronto su cui pesa non poco la credibilità dei governi. Per non parlare dell’appuntamento con il Consiglio europeo del 24-25 ottobre, dove l’Italia potrebbe presentarsi senza un presidente del Consiglio nei suoi pieni poteri, al primo vertice in cui la Merkel darà la linea tedesca del dopo-elezioni. Cosa ne sarà poi di quella boccata di ossigeno che sta arrivando all’economia attraverso il pagamento dei debiti alle imprese? Finora alle aziende sono stati pagati poco più di 11 miliardi. Ne mancano altri 16 per centrare
l’obiettivo del 2013. Una frenata proprio ora significherebbe un grave danno in termini di fiducia e investimenti, non senza un impatto sul deficit per le mancate entrate già previste. Sono tutti passaggi essenziali per provare ad agganciare i flebili segnali di ripresa internazionale di fine anno. Passaggi ai quali l’Italia rischia ora di arrivare senza un governo. Laddove non solo servirebbe un governo, ma servirebbe anche un governo credibile. Perché è chiaro che a nulla servirà un Esecutivo che dalla prossima settimana dovesse ricominciare a ballare sull’Imu, dopo lo spettacolo indecoroso sull’Iva cui abbiamo assistito fino alla tarda serata di ieri. Non basterà in questo senso una verifica finta. Serve, se ancora è possibile, un patto di governo credibile, su un programma complessivo d’autunno che metta al centro le vere esigenze del Paese, che sono quelle dell’economia e del lavoro, separando queste scelte dalle utilità politiche e personali di breve respiro. La sensazione, invece, è che oggi prevalgano – da una parte – i rancori e le paure di chi fa fatica a guardare al proprio futuro personale oltre una lunghissima e sfibrante carriera politica e – dall’altra – le ambizioni concorrenti di piccoli leader preoccupati soprattutto dal proprio appeal con un elettorato che fa sempre più fatica a seguirli. In mezzo c’è l’interesse dell’Italia, ma questo ai più sembra importare molto poco.
Il SOle 24 ore 28.09.13