E’ quello dei parlamentari del Pdl un Aventino rovesciato: e non solo perchè allora si trattò di secessione e non di dimissioni, ma soprattutto perché allora si volle testimoniare contro la criminale violazio- ne della legalità da parte del governo e dei suoi apparati, mentre oggi si vuole impedire l’esecuzione di una sentenza legale che corona un giusto processo.
Un gesto (che sia un bluff inconsistente, o una linea di comportamento destinata a essere applicata, o una tattica dilatoria per impedire all’Aula del Senato di votare su Berlusconi) che si prefigge un obiettivo di breve periodo: un oscuro disegno di incerta rivincita elettorale, attraverso ben certe lacerazioni irreparabili del tessuto costituzionale. Ciò che risulterebbe da quel gesto, cioè dalle loro dimissioni (con subentro dei non eletti, e loro ipotetiche ulteriori rinunce, e così via), è infatti la paralisi del Parlamento e del governo. Ma al di là delle conseguenze immediate – terrificanti al punto che non è esagerato parlare di pugnalata alle spalle a un’Italia ancora in ginocchio – sarebbe questo un vulnus talmente grave dell’architettura costituzionale, da non avere uguali nella storia repubblicana. Si tratterebbe della lacerazione di quell’originario patto costituente che incanala la politica e i suoi conflitti all’interno di istituzioni condivise che trasformano i nemici in avversari. Di fatto, si rischierebbe non solo il collasso economico, e la disgregazione sociale, ma anche la messa in mora della democrazia repubblicana: e non dal basso, dai movimenti antagonisti, ma dall’alto, dal cuore delle istituzioni.
E se ci si chiede il perché di tutto ciò, la risposta è ancora più desolante. Non per una qualche idea, sia pure rivoluzionaria, dell’Italia e del suo destino; non per un progetto politico in grande stile, per un disegno alternativo di civiltà; ma per salvare il soldato Silvio, per sottrarre un condannato (per reati comuni) alla sua pena, peraltro mitissima; per far precipitare tutta l’energia politica di una parte, la destra, nelle vicende di un singolo – e sia pure del suo capo –, ovvero per politicizzare oltre ogni limite un evento privato di rilievo giudiziario. Sottrarre Berlusconi alla pena non è il colpo di pistola che dà il via alla rivoluzione, e neppure il caso d’eccezione che spalanca un ordine nuovo: è tutto, e soltanto, ciò che la destra vuole, al prezzo della rivoluzione. L’inversione logica di pubblico e privato è perfino grottesca. Allo stesso modo, è terribile il paragone storico fra la destra che fece l’Italia unita, e ne fondò le istituzioni, e la destra che la divide e le rovescia per uno solo.
Ecco il tornante storico a cui la destra italiana va incontro; ecco gli interrogativi a cui non può sottrarsi. Davvero non vuole avere un orizzonte che vada oltre Berlusconi? Davvero vuole segnare in questa fase politica una cesura, un punto di non ritorno invalicabile, distruggendo il sistema politico e istituzionale del Paese, col rischio che questo si riassesti e si riequilibri in un modo tale da escludere da un nuovo patto costituzionale una destra consegnata al ruolo che ebbe il Msi al tempo della prima Repubblica? Davvero vuole sottrarsi alla comune responsabilità di portare l’Italia fuori dal guado, e vuole mostrarsi insensibile verso gli italiani e ciecamente devota al suo capo? Davvero vuole mettere a repentaglio, oltre che quello dell’Italia, anche il proprio futuro, il proprio elettorato di riferimento, i propri interessi, le proprie alleanze internazionali, e rischiare di perire politicamente, per un solo uomo? Davvero l’ordine, la legalità, il buon governo, il senso dello Stato e degli interessi strategici nazionali, il patriottismo, la fedeltà a un dovere, la moderazione e la prudenza, non fanno più parte del patrimonio della destra italiana? Davvero vuole essere solo un grumo di rancori eversivi, incapace diesibire una civile consapevolezza della sfera pubblica e delle sue regole ed esigenze, o una grandezza di intenti? Davvero non riesce a conciliarsi con quello Stato di diritto che invoca a parole per rovesciarlo nei fatti? Davvero si limita a coincidere con la persona di Berlusconi?
Lo si può temere, ma non lo si deve ancora del tutto credere, almeno finché non sarà esperito, e fallito, ogni tentativo di riportare alla ragione l’irragionevolezza, di moderare l’eccesso, di mostrare fermezza verso la destabilizzazione. Compiti che certo non possono essere affrontati con l’ottimismo dell’ingenuità, o con ipocrita connivenza, ma che pure si affacciano incombenti, ed esigono la forza, la lucidità, la lungimiranza, la pazienza, la buona volontà, di tutti quelli che non si rassegnano alla decadenza: non quella di un privato; quella collettiva, di noi tutti.
L’Unità 28.09.13