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“La sfida di Letta al Cavaliere”, di Ninni Andriolo

Una proposta politica: «prendere o lasciare» per un patto di governo che «non venga rimesso in discussione dopo il voto di fiducia». Né per la decadenza di Berlusconi dal Senato, che la giunta voterà nelle prima decade di ottobre, né per un nuovo eventuale problema giudiziario che possa investire il Cavaliere. Letta va all’attacco: «Non tiro a campare».

E sulla stessa linea si schierano il Pd e i ministri democratici che si riuniscono per chiedere «un chiarimento totale e definitivo» con il Pdl. In attesa di questo salta il decreto per congelare l’aumento dell’Iva. «Inutile con la crisi incombente aumentare le tasse – spiega Letta ai ministri – Non è possibile esaminare alcun provvedimento economico senza un preventivo chiarimento politico». E Berlusconi si assume così anche la responsabilità di bloccare misure per non far lievitare il debito pubblico oltre la soglia del 3% e di lasciare senza risposte emergenze come l’Ilva, Telecom e Alitalia.

Berlusconi incita i parlamentari a dimettersi? Cerca di determinare la paralisi del Parlamento? Gioca con il Paese facendo credere che la sua dichiarazione di guerra non riguarda il governo? «Una evidente contraddizione che mette in chiaro le divisioni del Pdl e il totale disprezzo per l’Italia», commentano dalle parti di Palazzo Chigi. Si va fino in fondo, quindi. Perché Letta non intende «tirare a campare rimanendo sulla graticola». E se Berlusconi ha voluto la guerra, si assuma pubblicamente le responsabilità. «C’è la necessità di un chiarimento inequivoco in Parlamento al più presto – spiega il premier – Se possibile già all’inizio della prossima settimana perché così non si può più andare avanti». Lunedì o martedì al massimo il premier riferirà alle Camere per ottenere una rinnovata fiducia al governo. Su un programma chiaro «e duraturo» che guardi al 2015. Se verrà sfiduciato, ne trarrà le conseguenze. Un percorso condiviso con il Colle che riconferma il suo sostegno all’esecutivo. Ma dalle parti di Palazzo Chigi non escludono altre maggioranze possibili.

Perché se il gioco di Berlusconi è quello di ottenere le urne anticipate alla fine di novembre per bloccare il voto del Senato sulla sua decadenza, dalle parti del premier ribattono che bisogna varare «legge di Stabilità e riforma elettorale» prima di nuove elezioni».

E il chiarimento, ieri, è stato avviato quasi subito, al rientro di Letta dagli Stati Uniti, quando il premier si è trovato a tu per tu con Alfano e Lupi e ha avuto la conferma che Berlusconi intende proseguire la sua guerra per accelerare il voto. E che prevede – dopo le decisioni della Giunta del Senato sulla sua decadenza – anche il proposito di non far partecipare i parlamentari Pdl ai lavori di Montecitorio e Palazzo Madama per costringere il presidente della Repubblica a trarne le conseguenze. Un gioco al massacro per le istituzioni. Che, tuttavia, non scalfisce di un millimetro il proposito del premier di andare al chiarimento «senza se e senza ma» nella sede più opportuna, cioè il Parlamento. Proposito che il presidente del Consiglio ha confermato ieri ad Alfano, ma anche a Epifani e a Monti durante la girandola di contatti intrattenuti via telefono o direttamente. Determinazione che il premier ha rilanciato anche con Gianni Letta incontrato prima di salire al Colle.

«TENSIONI NON PIÙ SOSTENIBILI»

«Non sono più sostenibili tensioni legate alla mancata separazione tra il piano del governo e la vicenda Berlusconi» così Letta, ieri sera, durante il Consiglio dei ministri. E ancora, «se si va verso la crisi inutile procedere con il decreto per bloccare l’Iva che prevede l’introduzione di nuove tasse». Posizioni già espresse ad Alfano e a Lupi, prima che il vice premier e il ministro rientrassero a Palazzo Grazioli per riferire a Berlusconi e allo stato maggiore Pdl. Un incontro breve e teso tra Letta, vice premier e ministro. La tensione è poi sfociata in una lite tra Franceschini e lo stesso vicepremier durante la seduta del cdm. Il capo del governo, ieri pomeriggio, era pronto a «trarre le conseguenze» e a risalire immediatamente al Quirinale nel caso in cui la premessa politica che doveva costituire il centro del Consiglio convocato per le 19,30 – «ho ancora la fiducia di questo governo?» – si fosse risolta con il pollice verso dei ministri Pdl.

Ipotesi ancora in piedi in serata, malgrado le rassicurazioni fatte trapelare da Palazzo Grazioli nel tardo pomeriggio. «Allo stato l’ipotesi dimissioni non esiste» tagliava corto, tra gli altri, Fa- brizio Cicchitto. In realtà dentro il Pdl è riesplosa la contesa – mai sopita – tra falchi e colombe. E la giornata ha pre- so una piega diversa quando si è capito che dalle parti di Palazzo Chigi si stava studiando anche la praticabilità di una strada che consentisse un governo di scopo malgrado l’Aventino – se non le dimissioni – dei parlamentari Pdl. «I problemi del Paese e della gente sono tanti e di tale portata che non è ammissibile comprometterne la risoluzione con fibrillazioni, aut aut o minacce», avverte Letta. Una «sfida per l’Italia» quella che ingaggia il presidente del Consiglio. Una risposta «dura» alla guerra scatenata da Berlusconi per bloccare la sua decadenza, ricandidarsi – malgrado tutto e in barba alle regole – e conquistare più favorevoli rapporti di forza.

L’Unità 28.09.13

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«Paese stremato, la crisi sarebbe devastante» di Salvo Fallica

«L’Italia sta attraversando un momento di profonda fragilità politica ed economica. La situazione è più che preoccupante e non rendersene conto è da irresponsabili».

Con chiarezza e nettezza, il presidente di Confindustria Sicilia e vice- presidente nazionale con delega alla legalità, Antonello Montante, risponde così a l’Unità sulle convulse e drammatiche fasi che vive il Paese, in un momento nel quale il presidente Napolitano ha stigmatizzato, come mai aveva fatto prima, la scelta di una parte politica che mette a rischio la vita del governo Letta.

Dopo la battuta iniziale, Montante aggiunge: «C’è bisogno di tante cose, ma soprattutto di un governo che sia nella pienezza dei poteri. Una crisi in questo momento creerebbe effetti di cui è difficile prevedere l’impatto. Di certo, come sempre accade, a pagar- ne le conseguenze più pesanti sarebbero imprese e famiglie».

Quanto è importante il valore della stabilità?
«Un Paese stabile diventa credibile, dà garanzie ed attrae investimenti. Oggi, più che mai, bisogna fare leva sul senso comune di responsabilità e trovare un accordo per lavorare a soluzioni che garantiscano la stabilità, così da scongiurare il rischio di tensione sociale. La stabilità politica è il pre- supposto anche per la stabilità finanziaria ed economica».

Confindustria, i vescovi, l’Ue, tutti uniti nel chiedere che il governo Letta continui. Può sintetizzare tutti i rischi che corre il Paese, a livello economico, finanziario e sociale se cade il governo?

«Una crisi di governo ora sarebbe un gravissimo danno per l’Italia e rischierebbe di far ripiombare il nostro Paese in una spirale negativa che in questo momento non possiamo permetterci. La coperta è già cortissima. Le imprese sono allo stremo, la disoccupazione è ai massimi storici, un ulteriore passo indietro rischierebbe di far saltare ogni equilibrio. Il patto di Genova, siglato ad inizio settembre tra imprese e lavoratori, contiene richieste precise in materia di fisco, politica industriale, efficienza della spesa pubblica. Tutte cose sulle quali non è più possibile tergiversare. Senza dimenticare la spada di Damocle dell’Unione europea che ha imposto di rispettare il patto di stabilità al 3 per cento. Insomma, non è tempo di divisioni perché faremmo il gioco di Paesi che in termini di competitività e di credibilità politica risultano più forti e aggressivi dell’Italia. Bisogna piuttosto lasciare che il governo vada avanti sulla legge di stabilità e sugli altri provvedimenti necessari per valorizzare le potenzialità di ripresa e assicurare la tenuta dei conti pubblici».

In questa fase così difficile non vi è il rischio anche per la battaglia della legalità e dell’etica? Non vi è il pericolo che in una fase di eventuale destabilizzazione del Paese, la criminalità organizzata rialzi la testa?

«Maggiore è la debolezza di un Paese, maggiore è la possibilità che la criminalità organizzata ne tragga vantaggio. Anzi, è proprio questo il terreno dal quale trae linfa il malaffare. Ne- gli ultimi anni abbiamo fatto un lavoro enorme sul fronte della legalità e dell’etica: Confindustria, con altre istituzioni, ha ribaltato un sistema, emarginando chi distorce il mercato, facendo concorrenza sleale a tutte quelle imprese sane che vivono di vero mercato e che rappresentano la maggioranza del tessuto economico italiano. Alla base di tutto però serve una politica forte e credibile, capace di sostenere i propri cittadini». Quali sono le urgenze dell’Italia?

«Le urgenze sono tante, ma non crediamo nel tutto e subito. Sicuramente occorre reperire risorse per tagliare il cuneo fiscale. Ma anche la progressiva eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile Irap, la detassazione e decontribuzione delle retribuzioni legate alla produttività, la delega fiscale, la velocizzazione del pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, la salvaguardia dei marchi storici del nostro paese che hanno fatto diventare l’Italia una potenza industriale a livello mondiale. E poi c’è l’emergenza credito perché le banche continuano a razionare i prestiti».

Vuol lanciare un appello a tutte la parti politiche?
«Posso solo ribadire l’invito alla responsabilità. Non è il momento delle liti. È il momento di remare tutti nella stessa direzione per salvare la “nave-Italia” dagli abissi».

L’Unità 29.09.13