Adesso basta. La misura è colma. Le insolenti, deliranti risposte dei parlamentari Pdl e dei loro capigruppo all’allarme lanciato dal presidente della Repubblica sono inaccettabili. Guardando agli interessi dell’Italia, soprattutto delle classi più deboli, non sono venute meno le ragioni di un governo che affronti questa congiuntura terribile e realizzi alcuni cambiamenti economici e istituzionali, pur in assenza di una maggioranza politica.
Una resa all’ingovernabilità, dopo aver raccontato al mondo che ci stavamo preparando alla presidenza europea del 2014 e all’Expo del 2015, avrebbe l’effetto di accelerare il declino del Paese, di rendere ancora più improbabile un cambiamento futuro, di aprire la porta a nuove ondate speculative contro i risparmi degli italiani e i patrimoni delle imprese.
Ma Berlusconi è totalmente disinteressato all’Italia. È pronto a far saltare i fragili equilibri di un sistema vicino al collasso nel disperato tentativo di sottrarsi a una sentenza definitiva. Ed è pronto a portare il ricatto al vertice delle istituzioni. Il Capo dello Stato ha giustamente definito «inquietanti» le dimissioni di massa, annunciate dai parlamentari Pdl nel caso in cui il Senato – applicando una legge – ratifichi la decadenza di Berlusconi. E come rispondono i parlamentari Pdl? Firmando le dimissioni anticipate. Il presidente della Repubblica si ribella alle grida sul «colpo di Stato», anche perché la condanna definitiva è avvenuta dopo tre gradi di giudizio e dopo un procedimento durato dieci anni, più volte interrotto, boicottato dalle leggi ad personam approvate dalla destra. E come reagiscono i capigruppo Pdl? Ribadiscono che di «colpo di Stato» si tratta.
Già avevano fatto le prove della loro «insurrezione» con la marcia sul tribunale di Milano. Poi hanno cercato di minimizzare, sostenendo che si trattava di una passeggiata di salute. Il secondo affondo è avvenuto al tempo della richiesta di sospensione delle attività della Camera. In quell’occasione il Pdl ripiegò, chiedendo una pausa di tre ore per svolgere l’assemblea di gruppo. Atti dimostrativi, seppure di significato eversivo. Ma provocarono entrambi tensioni e lacerazioni nella sinistra, divisa tra la difesa degli interessi nazionali legati alla continuità del governo e l’offesa subìta con l’oltraggio istituzionale. Proprio la divisione del campo avverso era (ed è) lo scopo politico dell’estremismo berlusconiano.
Berlusconi vuole la crisi di governo e le elezioni. Ma ha paura. Non sa se avrà la forza di far cadere il governo. E non sa neppure se, dopo la caduta del governo, otterrà subito le elezioni. Per questo adotta la strategia del logoramento. Logoramento del governo e del Pd. I suoi strappi sono finalizzati a rendere impossibile l’azione di Letta e troppo costoso il sostegno dei democratici. L’Italia, come dicevamo, è lontana mille miglia dai suoi pensieri. Qualcuno dei suoi amici ha provato a spiegargli che il colpo per il Paese sarà talmente duro da far traballare le sue stesse aziende. Ma Berlusconi non intende mettersi da parte, non vuole accettare la sentenza, non vuole affrontare gli altri processi. Se il governo Letta arrivesse a fine 2014, il passaggio di testimone nella destra sarebbe inevitabile, tanto più con il Cavaliere agli arresti domiciliari o ai servizi sociali.
Berlusconi sa di non poter vincere le elezioni. Ma vuole negare la legittimità della sentenza contrapponendo ad essa la legittimazione di un consenso residuo al simbolo con il suo nome.
E vuole che si torni al voto senza riforme elettorali e istituzionali: così anche il prossimo vincitore sarà azzoppato e il suo partito continuerà ad avere potere di interdizione.
È stato chiaro fin dal primo giorno che la battaglia politica di questa legislatura si sarebbe combattuta anzituto all’interno del governo senza intese (definito delle «larghe intese» principalmente dai suoi antagonisti). E la battaglia ora è al punto finale. La strategia del logoramento è diventata insostenibile per l’Italia. Che senso ha aumentare le accise per rinviare di tre mesi l’aumento di un punto di Iva, se l’instabilità provocata da Berlusconi costa in termini di tassi di interesse sul debito più di questa operazione? Che senso ha la diplomazia di Letta e Saccomanni, fondata sull’affidabilità dei nostri conti, se il sabotaggio del Pdl porta a destabilizzarli? Che senso ha la politica dei sacrifici nel 2013, finalizzata ad ottenere un bonus di investimenti europei nel 2014, se poi Berlusconi affonderà il governo e il bonus cadrà?
Il leader del Pdl gioca contro gli interessi di ciascuno di noi, e soprattutto di chi ha più bisogno di un governo che affronti le emergenze. Ma ora basta: il limite è stato superato. Berlusconi deve scegliere e, visto che è ancora senatore per qualche giorno, deve dirlo in Parlamento. È disposto a sostenere il governo fino alla fine del 2014? Se risponde sì, deve sapere che la legge sarà comunque rispettata e che la decadenza da parlamentare sarà inevitabile. Ma deve anche sapere che la legge di Stabilità e la manovra fiscale di fine anno vanno improntate a criteri di equità: è impensabile che il 10% più ricco del Paese venga esentato dal pagamento dell’Imu e che questo costo sia pagato dalle famiglie più povere, dai disoccupati, da chi non arriva alla fine del mese.
I giochi sono finiti. Non pensi Berlusconi di saltare ancora da un ricatto sulla Costituzione ad un altro sulle tasse. Il logoramento ha gli stessi effetti, sulla società e sulle speculazioni, di una rottura immediata. I giochi sono finiti anche per i parlamentari del Pdl. Decidano ora se seguire il loro capo in questa follia o ribellarsi. Il governo non può certo andare avanti, impostando la presidenza italiana dell’Ue e le riforme elettorali e istituzionali, con due o tre senatori di vantaggio. Per andare avanti è necessaria una maggioranza stabile, con numeri solidi. Non si può perdere altro tempo dopo la vergognosa sceneggiata Pdl, mentre il presidente del Consiglio a Wall Street proponeva investimenti sull’Italia. E anche il Pd si dia una regolata: non sarebbe una vergogna minore se oggi, in direzione, mancasse ancora l’intesa sulle regole. A questo punto, o c’è l’intesa di tutti o non c’è più un partito. E speriamo anche che, in questo drammatico confronto sul governo, non ci sia qualcuno nel Pd che offra a Berlusconi una sponda sulle elezioni anticipate. Se vuole far cadere il governo, si deve prendere da solo e per intero la responsabilità
L’Unità 27.09.13