Quando si affronta la questione dell’immigrazione, occorre essere consapevoli di un dato fondamentale: oggi è in corso di profonda trasformazione l’idea di nazione, un processo strettamente connesso alla crisi del modello moderno di Stato. Cioè di quel modello imperniato su un rapporto organico tra Stato, nazione, territorio. Non a caso, la storia dell’Europa moderna, arrivata ormai alla sua conclusione, si configura proprio come una lunga vicenda di Stati nazionali territorialmente concepiti e costituiti.
È difficile periodizzare questo processo, e dire quando esso sia entrato in una fase di crisi. Per quanto riguarda l’Italia, è un fenomeno che diventa visi- bile negli anni Settanta, nel vivo di trasformazioni strutturali e culturali che investono in profondità il nostro Paese.
La vicenda della Lega si situa in questo contesto, ed è significativa in un duplice significato. Anzitutto perché è in- dice della crisi dello Stato nazionale moderno; in secondo luogo perché essa cerca di risolvere questa crisi attraverso la costruzione di una microentità statale di carattere regionale, territorialmente definita e rivendicata, fino ad assumere toni di carattere etnico, e addirittura razzista, quando la prospettiva politica della Padania viene meno. In altre parole, la Lega è stata, al fon- do, una risposta di carattere reazionario alla crisi, di vastissime proporzioni, dello Stato nazionale moderno. Oggi appare chiaro che anche tutta la vicenda jugoslava va vista in questo quadro: come l’esito sanguinoso di una crisi che è esplosa in termini più violenti do- ve il paradigma della statualità moderna era più debole e più fragile.
La storia, anche recente, insegna che da questa crisi si può uscire in una duplice direzione: riproponendo in termini più ristretti e asfittici il principio statuale moderno; oppure lavorando a una nuova concezione della nazionalità, che si ponga oltre le barriere moderne della statualità e della territorialità.
Ma una sfida di questo spessore può essere affrontata solo ponendosi dal punto di vista dell’Europa e intrecciando un nuovo principio di nazionalità e la nuova idea dell’Europa, sganciando entrambi dalla interpretazione della territorialità come condizione della cittadinanza, sia italiana che europea.
È questo il salto culturale, etico e an- che religioso che bisogna compiere oggi e nei prossimi anni, assumendo come punto di elaborazione e di iniziati- va politica la dimensione della interculturalità e del dialogo fra le religioni.
È un mutamento radicale di visione che richiede un impegno decisivo a livello di coscienza, di cultura, di educazione, da cui deve scaturire un concetto di cittadinanza italiana ed europea capace di andare oltre gli stessi concetti fondamentali della civiltà moderna, come quello di tolleranza – essenziale , certo, ma non non più sufficiente a definire il rapporto tra le differenti identità culturali e religiose, perché agganciato a forme di riconoscimento e di comunicazione tra mondi diversi che oggi devono essere, con forza e rigore, oltrepassate.
Non è il territorio che deve decidere oggi chi è italiano o europeo, chi è nativo e chi è straniero: ma la partecipazione a un comune vincolo civile, a una dimensione culturale condivisa, costituita da differenze in grado di risolversi in un condiviso senso di appartenenza. Nella costruzione della nuova Italia e della nuova Europa, la dimensione di valori comuni è decisiva, anzi è il ban- co di prova delle nuove identità nazionali ed europee che bisogna costruire.
Insisto sul temine nazione: dobbiamo lavorare a un nuovo concetto di nazionalità, non alla sua cancellazione. È vero il contrario. La nuova Europa da costituire richiede forme nazionali nuove ma potenti, in grado di arricchire con la loro storia la comune patria europea. La storia vive di differenze, non di uniformità.
C’è un nuovo mondo da costruire nel XXI secolo, oltre le barriere della «modernità», dalle quali non si riesce ancora ad uscire con la forza necessaria. Ed è in questo processo che va inserito il problema, grande e drammatico, della immigrazione. Padre Ernesto Balducci diceva che l’Europa era destinata ad essere travolta dall’Africa, se non avesse saputo fare i conti con i nuovi mondi che venivano alla luce. Aveva ragione: essi possono essere la condizione per un balzo in avanti della nostra comune civiltà – in Italia ed in Europa – oppure di una sua catastrofe. Certo, è una sfida che ha i suoi tempi e le sue tappe:è dunque giusto battersi per lo «jus soli» e per la eliminazione d leggi inique. Ma noi dobbiamo avere uno sguardo più lungo e riuscire ad avere una visio- ne di quello che potrà essere il nostro futuro. La modernità, la statualità nazionale moderna, è ormai finita; sta alle nostre spalle.
L’Unità 26.09.13