«È la materializzazione della crisi di cui parliamo ogni giorno, la conseguenza del declino italiano». Vincenzo Visco commenta così la notizia dell’aumento di capitale di Telefonica in Telecom. Una fotografia disarmante, se consideriamo che «Telecom viene acquistata da un suo competitor, che era molto più debole degli italiani e che, da quello che capisco, pagherà pochissimo» aggiunge. Insomma, per l’ex ministro è un colpo fortissimo al sistema paese. E l’Alitalia? Lì come andrà a finire? «Come Telecom», replica tranchant.
Quali responsabilità ha la politica?
«Il 99% delle responsabilità sono dei governi Berlusconi. Vorrei ricordare che al momento dell’uscita di Tronchetti Provera c’era un’ipotesi di acquisto degli americani della At&T che avrebbero pagato 3 euro ad azione. Si decise l’arrocco difensivo, in nome dell’italianità, con una società di controllo che evidentemente non ha retto».
E non si è fatto nulla neanche sulla rete.
«Difatti, questo è il problema principale. C’era un progetto allo studio, non so bene per quali motivi non sia andato avanti. E non so neppure se il governo abbia ancora la possibilità di intervenire. E questo è drammatico in un momento di assoluta carenza di risorse. La rete di telecomunicazione è un asset importantissimo di sviluppo, ma servono molte risorse. Noi continuiamo a parlare di Iva e Imu e in- tanto accadono cose gravi».
Cosa pensa oggi della rivalutazione che si fa delle scelte del governo Prodi, di cui faceva parte, sia su Telecom che su Alitalia?
«Beh, su Alitalia Padoa-Schioppa aveva il progetto di cederla ai francesi, ma in condizioni molto diverse. Oggi non si sa bene come andrà a finire». All’epoca anche i sindacati si opposero. «In Alitalia i sindacati, soprattutto le sigle autonome interne, hanno responsabilità pesantissime».
E la questione Rovati su Telecom?
«Quella soluzione era sostanzialmente lo scorporo della rete. Fu attaccata perché la proposta proveniva da ambienti governativi, ma la strada era quella giusta. Si è aspettato troppo tempo per risolvere la questione, e oggi ci ritroviamo così».
Lei parla di responsabilità di Berlusconi. Ma anche Monti e Letta non hanno mosso un dito.
«I governi tecnici di solito hanno una legittimazione ridotta».
Ma Letta guida un governo politico. E per di più è un esecutivo che crede nello sviluppo industriale. Non è una beffa? «Questo è un governo che non crede a nulla, nel senso che le linee al suo interno sono opposte. La destra ha sempre creduto fosse meglio lasciar fare e magari agire solo per difendere l’italianità».
È il fallimento delle larghe intese?
«Non direi così. Parlerei piuttosto di un governo a sovranità limitati, i cui margini di azione sono ristretti. In ogni caso a questo punto il governo deve dire qualcosa sulla rete. Non può certo finire che non abbiamo nessun controllo su un monopolio naturale. Qui si tratta di un colpo molto serio». Lei parla della materializzazione della crisi. Ma anche in Spagna c’è crisi. «Infatti. Evidentemente però le azien- de spagnole non sono così indebitate come le nostre. Da noi le aziende non riescono (o non sono capaci) a ricapitalizzarsi, e alla fine devono essere cedute. Lo scenario per cui alla fine l’Italia sarà costretta a vendere tutto non è escluso. Osservo anche il fatto che Telefonica, che in precedenza era molto più debole di Telecom, oggi sta acquisendo anche altre società in Europa ed ha forti interessi in Brasile. Sta qui l’immagine del nostro declino, di un Paese senza un progetto. Oggi si è aspettato troppo tempo per risolvere questi problemi: manca la consapevolezza e anche un piano condiviso».
Letta ha invocato investimenti stranieri. Non potrebbe essere questo il caso? «L’acquisizione a basso costo di una delle più importanti aziende europee non mi pare un investimento da auspicare. Comunque era una storia annunciata. È l’ultimo atto di una lunga catena, iniziata con Edison, poi Parmalat, poi la filiera del lusso. Oggi arriva a compimento un processo che dura da anni. C’è un declino economi- co, e ci sono anche responsabilità storiche delle classi dirigenti».
Infatti, forse andrebbe rivista tutta la storia delle privatizzazioni.
«Certo, vista ex post quella di Tele- com poteva essere fatta diversamente, mi pare che lo stiano riconoscendo tutti».
L’Unità 25.09.13