La vicenda del finanziamento ai partiti assume ormai caratteri che confinano con l’inciviltà politica. La destra non ritiene di accettare nemmeno la soglia massima di donazione posta a 100mila euro. Chiunque deve, secondo il Pdl, poter donare anche una cifra indecente, di quelle pensate per condizionare, o addirittura per comprare un partito, e non per sostenerlo. Per questo ieri la commissione Affari Costituzionali della Camera ha interrotto i lavori. Ora, salvo ravvedimenti notturni, tutto dipenderà dall’aula. La ragione, anzi la scusa, addotta dalla signora Gelmini è che «disincentivare il finanziamento dai privati mentre si abolisce il finanziamento pubblico non è logico». Come è ovvio dietro c’è altro: Berlusconi nel suo crepuscolo inglorioso usa ogni stratagemma per mantenere i suoi nella sudditanza, e quello di donazioni senza limite gli regala un’arma che solo lui possiede per continuare ad essere quel padrone che è sempre stato. Del resto, ha pienamente ragione a sospettare che moltissimi, nel suo partito, stanno già pensando ad altre destinazioni. Ma in pubblico il rituale della fedeltà esteriore va mantenuto. Così gli esponenti del Pdl aprono senza scrupoli all’indecenza, ovvero a quella che deve essere chiamata col suo nome: la fine della democrazia, l’affermarsi di una serie di partiti padronali senza più possibili limiti, il trionfo della corruzione impunita e impunibile. Occorre far loro capire che questa assurda pretesa non passerà. Ma ragionino, i parlamentari del Pd, sulle parole della Gelmini: esse racchiudono una logica alla quale anche molti di loro hanno in qualche modo ceduto. Una volta demonizzato il finanziamento pubblico, e una volta, quindi, passato l’assunto per cui il contributo dei privati è l’unica risorsa legittima, i partiti si trovano di fronte ad un orizzonte di potenziale ansia di sopravvivenza. Anche se in forme diverse e meno sfacciate di quelle dichiarate dal Pdl, moltissimi potrebbero vivere la situazione per cui delle risorse vanno trovate purchessia. Molti potrebbero pensare che in fondo tutto è permesso se si è stati così nobili e progressisti da abolire il finanziamento pubblico. Questa logica si ritrova, a ben vedere, anche nella soglia dei 100 mila euro, abbondantemente troppo alta. In molti contesti 100 mila euro sono già una donazione che condiziona indebitamente un partito. La possibilità inoltre spingerebbe i partiti a cavarsela con un centinaio di ricchi emarginando ancora di più la raccolta diffusa, che richiede il coinvolgimento dei militanti.
E invece, il pubblico dovrebbe servire a incentivare, con meccanismi di cofinanziamento, la raccolta militante trasparente, quella che rafforza, anziché uccidere, la democrazia dal basso. Ma se non si è saldi sul limite, e se anzi non si cerca di abbassarlo, è ovvio che anche il cofinanziamento proporzionale alla raccolta privata premierebbe i padri-padroni come il Cavaliere. È vitale dunque rimanere saldi. Speriamo che nessuno, nel Pd, ceda di fronte a chi di sicuro, dal Pdl o M5S, li accuserà di «cercare scuse per salvare il finanziamento pubblico». Speriamo che a nessuno venga in mente di cercare mediazioni a mezzo milione, o un milione di euro di tetto. Il limite è già stato superato.
L’Unità 25.09.13