Ieri le cronache erano un camposanto di donne uccise. Di mattina, la rassegna di Radio 3 e la discussione di “Tutta la città ne parla” rimettevano a confronto l’allarme per le violenze contro le donne e il femminicidio con la minimizzazione. La minimizzazione è brutta, presume a torto di avere i fatti dalla sua, e non ha capito.
A Ferragosto il ministero dell’Interno ha comunicato i dati sulla criminalità. Circa il 30 per cento degli omicidi commessi in Italia, ha detto il ministro, ha come vittime le donne. I giornali hanno scelto questa frase per intitolare (Il totale era di 505 omicidi). Poi ho letto commenti come questo: “Ma allora il 70 per cento degli ammazzati sono uomini! E parlano di femminicidio”. Naturalmente, le cifre rilevanti riguardano il confronto fra il numero di uomini uccisi da donne, e il numero di donne uccise da uomini. Un uomo ucciso da un uomo è senz’altro un maschicidio, anzi doppio, perché è maschio l’autore e la vittima. E nessuno si sognerebbe di chiamare femminicidio l’uccisione di una donna da parte di un’altra donna. Chi è insofferente all’invenzione di un nome speciale per l’uccisione di donne perché donne, e resta attaccato a un nome “neutrale” (come se “omicidio” fosse neutrale, e come se “uxoricidio”, che vuol dire ammazzare la moglie, non venisse usato anche per i rari mariti ammazzati) dovrebbe mirare alla parità: che si può ottenere o facendo sì che gli uomini riducano l’uccisione di donne al numero delle donne uccise da uomini, o che le donne uccidano molti più uomini, preferibilmente mariti ed ex mariti
e fidanzati e clienti ecc., fino a raggiungere il record dei maschi. Questa buffissima applicazione teorica delle quote rosa non è buffa come sembra. È un ennesimo segnale di uno scandalo che in troppi hanno voglia di normalizzare. Dunque: quei dati grossolani del ministero dell’Interno dicono che dal 1° agosto 2012 al 31 luglio 2013 le donne uccise sono state circa 150. Degli omicidi commessi dal partner, l’83,3 per cento è stato commesso da uomini. Degli omicidi commessi dall’ex partner, il 100 per cento – tutti – sono stati commessi da uomini. Abbiate ancora pazienza: nei dati Eures (citati dai minimizzatori) le donne uccise nei primi sei mesi dell’anno sono “già 81”; fra il 2000 e il 2012 sono state “2200, una media di 171 all’anno, una ogni due giorni”. Erano 173 nel 2009, 158 nel 2010, 170 nel 2011, 159 nel 2012 (qui il calcolo è sull’anno da gennaio a dicembre). Nella presentazione, il rapporto scrive: “Femminicidi. Troppo spesso ignorati i segnali di rischio”. Come ormai si dovrebbe sapere, il totale degli omicidi ha avuto un brusco calo, mentre quelli che hanno per vittime le donne sono stabili, dunque coprono una quota crescente del totale – il 30 per cento. Questi i numeri: che sono eloquenti.
Vediamo ora i pensieri, e i pregiudizi. Si dice: la continuità nel numero dei femminicidi mostra che si tratta di un dato endemico, fondato in fenomeni così “strutturali” che non c’entrano con l’emergenza. È un argomento troppo vero per essere intelligente. Dato che la discriminazione uomo-donna è il fondamento diretto o indiretto di ogni razzismo, farlo finalmente emergere è, appunto, un’emergenza. Ma sfugge ai minimizzatori un punto decisivo: molte altre cose sono endemiche nei nostri costumi, e si modificano solo lentamente – benché questa, del maschilismo, sia la più lenta e renitente. Esempio: il nostro modo di pensare agli animali. Non offenderà le donne, che sanno come gli uomini le abbiano domate e tenute alla catena non molto diversamente da quelli. Dunque anche nel rapporto fra uomini e donne le cose cambiano. Chi insiste sul femminicidio “endemico” – o sugli stupri e le botte, tutti endemici – immagina solo la protrazione di un patriarcalismo arcaico, dal passo infinitamente più lento di altri progressi. Non è così. Quel patriarcalismo non vuole cedere, ma perde terreno, e libera via via le sue vittime, le donne ma anche i disgraziati uomini, che perdendo la proprietà delle donne hanno un mondo da conquistare. Invece c’è nel femminicidio contemporaneo e nelle violenze contro le donne – basta seguirne gli episodi, e basta anche, diciamolo, fare bene i conti con se stessi – qualcosa di interamente nuovo, perché nuova è la libertà che le donne rivendicano, e a cui gli uomini devono abituarsi, e rallegrarsene se ne sono capaci, o rassegnarsi se non altro – e troppo spesso non si abituano né si rassegnano, e se ne vendicano. Non sono uomini all’antica: sono modernissimi uomini antichi, mortificati dalla libertà delle donne, che sentono come il furto della loro libertà. Anche alle persone che finalmente si impegnano ad avere conti e statistiche serie su questi temi, direi di non gingillarsi troppo con l’ovvietà che l’enorme incremento di denunce contro i maltrattamenti maschili sono il
frutto di una sensibilità e soprattutto di una solidarietà che fino a poco fa non si poteva sperare. Certo che è così. Le botte domestiche “sommerse” saranno ancora la schiacciante maggioranza. Ma questo, appunto, è ovvio. Meno ovvio è riconoscere, e far riconoscere, le botte nuove e inaspettate di uomini che non stanno al passo con l’immagine femminile pubblica e pubblicitaria, e se ne rifanno a casa, fra il porno online e la moglie.
Ammoniscono: è diventato di moda gridare all’allarme per i femminicidi. Può darsi, ma non era meglio quando – negli ultimi ventimila anni, diciamo – era di moda non parlarne, tranne qualche tragico greco. Deplorano: si grida all’emergenza per mettersi in mostra. Argomento scivoloso, basta rovesciarlo: mi si noterà di più se sconfesso l’emergenza?
Infine: le comparazioni statistiche fra noi e la Finlandia, o la Lettonia. Mostrano un paio di cose. Intanto, che là curano meglio le statistiche. Poi quello che ho appena detto, che il progresso nei costumi è zoppo, da questa gamba. Poi, che le notti sono lunghe e senza luce, e gli uomini bevono, e picchiano la moglie. Si suicidano anche, di più. Ma anche là, dove l’emancipazione è più spinta, le mogli probabilmente bevono di più, ma non picchiano il marito in proporzione. I romanzi di Larsson andavano presi sul serio, soprattutto nelle didascalie informative premesse a ogni capitolo. Mostravano le magagne, di genere e politiche, della bella Svezia, anche lei tentata di prendersela con l’immigrazione. Dopo di che, senza dimenticare per un momento le percentuali dei panni sporchi dentro le “nostre” famiglie, l’immigrazione ci e si pone un problema. Per lei, spesso, lo scontro con la libertà femminile è ancora più brusco e frontale. Che a volte reagiamo in modo orrendamente simile, noi e uno zio pakistano espiantato, è solo un ulteriore avvertimento sulla scorza sottile.
La Repubblica 20.09.13